LO SHOW DEL DOLORE

LO SHOW DEL DOLORE

Prendete un terribile caso di cronaca nera: c’è una vittima, meglio se minorenne, e un assassino, meglio se un familiare. Ora aggiungete una serie infinita di presentatori, psicologi, giornalisti, avvocati, personaggi completamente estranei all’evento che sentenziano sull’accaduto, che ipotizzano colpevoli e moventi. Immaginate talkshow, interviste, salotti pomeridiani, programmi di intrattenimento che parlano solo del delitto in questione. Immaginate di entrare nella casa della vittima, dell’assassino, di scavare nelle loro vite, di conoscere ogni singolo insignificante dettaglio della tragedia. Ecco a voi lo spettacolo del dolore, un universo in cui la cronaca nera diventa intrattenimento e un omicidio una fiction degna di prima serata. Garlasco, Scazzi, Cogne:solo alcuni nomi dei delitti italiani dei quali sapremmo recitare le dinamiche a memoria.

Ma quando la tragedia è diventata spettacolo? Facciamo un passo indietro, precisamente al 10 giugno 1981:Alfredo Rampi, detto Alfredino, 6 anni, cade in un pozzo artesiano a Vermicino in provincia di Roma. Dopo quasi tre giorni di tentativi falliti di salvataggio, Alfredino muore dentro il pozzo, ad una profondità di 60 metri. Una tragedia come tante, purtroppo, se non fosse che la morte di Alfredino fu un evento mediatico senza precedenti: la RAI organizzò una diretta televisiva non stop che riprese gli interventi del soccorso per ben 18 ore. Il salvataggio tenne l’Italia con il fiato sospeso, catturando l’attenzione di circa 21 milioni di spettatori, a tal punto coinvolti da arrivare a tempestare la RAI protestando affinché si parlasse del caso di Vermicino senza interruzioni. Per non parlare del pellegrinaggio che iniziò verso il luogo della tragedia: migliaia di curiosi, cronisti, giornalisti e personaggi in cerca di visibilità trasformarono la scena del pozzo in un palcoscenico televisivo. La diretta non risparmiò dettagli inquietanti: filmati e audio in cui lui Alfredino «piange o singhiozza» o «chiama la mamma o i soccorritori» e quelli in cui «i genitori e altri soccorritori cercano di tranquillizzarlo». Un reality show del terrore.

Siamo così abituati a vedere il dolore messo in piazza e spettacolarizzato da dimenticarci che non è sempre stato così. Generalmente le trasmissioni su eventi di cronaca erano mandate in onda in sintesi e in differita per pudore o motivi etici, complice la riluttanza dei giornalisti televisivi dell’epoca,nel rispetto di familiari e spettatori. E’ innegabile come da Vermicino in poi qualcosa sia cambiato: non a caso fu qui coniato il termine “la televisione del dolore”. Si fa strada nel panorama mediatico un nuovo modo di fare informazione, di cui i giornalisti hanno presto imparato la regola numero uno: “la tragedia fa audience”.

Ilvo Diamanti, nel suo articolo “Cara Televisione dacci la nostra ansia quotidiana” (“La Repubblica”, 11 Ottobre 2010) osserva come il crimine sembri costituire una “passione mediatica nazionale”. Nei telegiornali italiani, ogni giorno, in ogni edizione, i fatti criminali occupano un vasto spazio. Nulla di simile avviene nelle principali reti europee. Ma, soprattutto, la diversità risiede nel modo in cui le notizie vengono trattate: nelle televisioni europee un fatto di cronaca viene contestualizzato, tematizzato, inserito se possibile in un fenomeno sociale più ampio su cui indagare. In Italia,invece,un evento di cronaca nera diventa un caso nazionale, esagerato, sventrato, analizzato fino all’esasperazione. Da una parte, c’è la responsabilità di chi sta dietro alla macchina televisiva: giornalisti sciacalli, pronti a tutto per far lievitare gli ascolti, alimentano il rumore attorno alle tragedie. Inoltre, quale diversivo più semplice della cronaca nera per distrarre gli spettatori da temi rilevanti, come gli approfondimenti socio-politici, le questioni del lavoro,gli eventi culturali,che passano pericolosamente in secondo piano di fronte all’ossessiva attrazione verso il delitto di turno.

In realtà, siamo noi, telespettatori accaniti, i veri protagonisti. Perché siamo così morbosamente attratti dal dolore altrui? Per Ilvo Diamanti “Le tragedie quotidiane generano angoscia ma, al tempo stesso, rassicurano. Ci sfiorano: ma toccano gli altri. È come sporgersi sull’orlo del precipizio e ritrarsi all’ultimo momento. Si prova senso di vertigine. Angoscia. Ma anche sollievo. E un sottile piacere”. Eppure c’è qualcosa di profondamente insano in tutto questo: la sensazione che, da Alfredino ad oggi, sia stato oltrepassato un limite. Da quando la sofferenza è diventatares communis?Il dolore è forse la dimensione più intima che possediamo.Il dolore è un dono da custodire. Nel dolore capisci chi sei; nel dolore ti perdi e ti ritrovi.E invece quotidianamente sopportiamo di vedere la sofferenza altrui violata, esposta a verdetti e opinioni. Ci riempiamo di parole. Tutti parlano, non importa di cosa. Italia: paese di giudici e opinionisti (e di allenatori di calcio …).Parlare per riempire un vuoto, perché la televisione non permette silenzi. Quando a volte è quello che servirebbe: un po’ di silenzio. Per viversi il dolore, ognuno a modo proprio.

 

Marianna Marzano

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