L’omicidio che spacca l’Italia in due

L’omicidio che spacca l’Italia in due

Il quartiere San Lorenzo è diviso in due branche dicotomiche, ognuna segnata da una profonda e rimarcata ideologia che, negli ultimi anni, le contrappone con ferocia.

Il rione è storicamente riconosciuto come territorio “rosso”, a causa delle cronache del 1922 che videro in San Lorenzo l’unico quartiere deciso ad opporsi agli squadristi fascisti e alla loro marcia su Roma. L’orientamento politico della zona non cambiò nemmeno nel dopoguerra, continuando ad essere territorio ad orientamento popolare, animato dal fervore del Partito Comunista e sede di diversi gruppi della sinistra extra-parlamentare. In via Taurini, poco distante dallo stabile di via dei Lucani dove la scorsa settimana si è consumato il dramma di Desirèe, Gramsci fondò nel 1924 la sede dell’Unità, quotidiano comunista vittima dei blitz dei fascisti prima e delle Brigate Rosse in seguito, definite dal giornale come “nemiche della democrazia”. Nonostante un percorso storico nettamente schierato, è evidente, però, come la rabbia e l’esasperazione dei residenti di San Lorenzo abbiano portato in grembo alla radicata sinistra una mentalità di estrema destra. Si spiega così la reazione della gente al passaggio del ministro Salvini, accolto da uomini che ne lodano le gesta accompagnandone la camminata con uno scroscio perpetuo di applausi ed il conseguente coro dei rappresentanti dei centri sociali, che a gran voce lo apostrofano “sciacallo” impedendogli di raggiungere il luogo del delitto.

Via dei Lucani, agli occhi del Paese che ora la osserva con attenzione, appare come una profonda spaccatura utile a dividere due fazioni divenute fondamentaliste a causa delle condizioni allarmanti in cui versa il quartiere. La Questura afferma di essere a conoscenza da anni della situazione, un gruppo ben nutrito di immigrati irregolari occupa, in un circolo vizioso di sgomberi e riappropriazioni illecite, gli stabili disabitati.

Mentre una rappresentante dei centri sociali, in prima linea nel corso delle contestazioni al ministro dell’interno, regge uno striscione recante la scritta “Salvini specula sulle tragedie, San Lorenzo non è la tua passerella elettorale”, una donna dal forte accento romano invoca il ritorno di Benito Mussolini, vedendo in Salvini il suo diretto discendente.

Se la prima, oltre ad uno slogan poco efficace ed una retorica stantia, ha poco da offrire al contesto dalla quale è circondata, la seconda, animata da una sincera esasperazione, diviene simbolo pubblico dell’ignoranza storica che sempre più spesso associa le azioni del leader della lega a quelle attuate dal duce durante il periodo fascista.

Prescindendo dalle ideologie politiche presenti sul territorio, marcate e grottesche nella loro cieca visione della realtà, rimane il problema dello spaccio incontrollato portato a San Lorenzo dalla criminalità organizzata. Per risolverlo, il governo ha proposto, nella Legge di Bilancio 2019, lo stanziamento di 100 milioni di euro indirizzati all’assunzione di nuovo personale tra le Forze dell’Ordine, unito ad un più rigido controllo, con relativa evacuazione, dei ripetuti casi di occupazione abusiva divenuti ormai problema quotidiano.

In circostanze come queste, l’opposizione messa in moto dai centri sociali è deleteria e fuori luogo, utile al solo fine di rendere ancor più teso un panorama già di per sé in condizione di equilibrio precario. Combattere l’intervento del governo per rivendicare il proprio ruolo, schierandosi contro un ministro con motivazioni effimere e sconnesse tra loro soltanto perché appartenente alla corrente politica opposta, non fa di loro paladini della giustizia, ma replicanti colmi di automatismi con la fissa anacronistica per il fascismo ed il razzismo.

San Lorenzo è in mano alla malavita, a spacciatori e clienti abituali che rendono invivibile la quotidianità dei residenti. È servita la morte cruenta e brutale di una sedicenne per focalizzare l’attenzione di una nazione sul degrado che impregna i muri degli stabilimenti di via dei Lucani. Soltanto lo Stato, con l’appoggio di un quartiere unito, può tentare di estirpare le radici di una situazione apparentemente incontrovertibile. Credere ai buoni propositi di una reintegrazione degli schiavi della mafia proposta dagli esponenti dei centri sociali sarebbe bello, ma le favole trattano di situazioni utopiche che solo una falsa ingenuità può ritenere possibili.

Ora che un delitto è già stato commesso e l’opinione pubblica ne è rimasta scossa, occorre muoversi in fretta, per evitare che il tutto venga reso vago dallo scorrere del tempo.

Non si può attendere un altro omicidio per mobilitare davvero la coscienza di chi lascia che tutto scorra in silenzio.

 

A cura di Nicola Corradi

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