Non è mai stato facile giudicarlo, troppi alti e bassi nella sua carriera. Come si può giudicare un tennista che ha raggiunto 11 finali Slam? Un campione, senz’altro da aggiungere. Però, su 11 finali, ne ha vinte “solo” 3, dunque? Dunque è un perdente, un tennista notevole a rete (quando ci va), regolare dal fondo del campo, quasi completo come doti tecniche, ma pur sempre un perdente! E se aggiungiamo che, dalla finale di Wimbledon del 2012, persa da Federer, ogni volta che è giunto all’atto conclusivo di un torneo, a prescindere dal prestigio, ha sempre vinto, tranne quando ha incontrato Novak Djokovic (vincendone qualcuna, ma perdendone molte)? Verrebbe da dire che è l’eterno secondo, un campione indiscusso di questa disciplina, ma poco vincente.
E se, dopo tutte queste considerazioni, valutiamo un dato interessantissimo, ossia che la sua carriera si è svolta sotto il dominio incontrastato di tre giocatori, Federer, Nadal e Djokovic, i quali hanno conquistato in totale 43 tornei dello Slam e 81 Master 1000 (fino ad ora)? In questo caso, con molti dubbi, verrebbe da accostarlo a questi tre fenomeni assoluti, probabilmente i più forti della storia del Tennis, ponendolo uno o due gradini al di sotto, poiché 3 Slam, un oro olimpico e 12 Master 1000 sono un ottimo risultato, ma sfigurano in un accostamento virtuale con le bacheche degli altri.
Se questi quattro fossero i Beatles, Murray sarebbe Ringo Starr, dunque il quarto dei Fab 4. Ecco, mi sa che ci siamo. È questa la definizione di Andy Murray, il gemello diverso di Nole Djokovic, il quale fa in campo praticamente lo stesso gioco del Serbo, con qualche variazione in più, ma con meno efficacia. E, come risaputo, quando a sfidarsi sono due giocatori molto simili come attitudine e qualità, in qualsiasi sport o disciplina essi si stiano misurando, alla fine vince quasi sempre quello che riesce leggermente meglio ad eseguire il proprio piano tattico, quello che ha un po’ più di talento in quello stile, colui il quale con la testa riesce a rimanere più fresco e concentrato. E chi meglio di Djokovic in questo ambito? Chi ributta sempre tutto nel campo avversario, a prescindere dalla potenza del colpo, dalla posizione in cui si deve rimandare la palla indietro, o dalla contorsione delle gambe richiesta per arrivarci, meglio di Novak Djokovic? Ve lo dico io: nessuno! Murray, invece, non si limita a rimandare la palla, poiché vuole costringere l’avversario di turno a rischiare ogni volta di più, costruendo una fittizia ragnatela in cui intrappolare la vittima, per poi passarla di Diritto o di Rovescio senza pietà!
Il problema è che questo piano tattico può funzionare con giocatori non abituati a spingere con i piedi in campo oppure non in grandissima forma. È un gioco efficace sulla terra battuta (anche se Murray se ne è accorto soltanto da due anni), sul cemento moderno (sempre più lento), non su altre superfici. Inoltre, contro quei tre mostri sacri, per ragioni ormai note agli appassionati, funziona poco ovunque il gioco di Murray. Infatti i testa a testa dello Scozzese contro di loro sono tutti in negativo. Eppure, quasi inspiegabilmente, quando vede l’erba Londinese di Church Road, Andy si trasforma. Servizio solido, risposta terrificante, mobilità pazzesca e riflessi da giocoliere a rete. Quest’anno, dopo la prematura sconfitta di Djokovic al terzo turno ad opera di Querrey, l’infortunio che tiene lontano Nadal dai tornei da due mesi e la sconfitta in Semifinale di Federer, dovuta ad una condizione atletica precaria, per i bookmaker e gli esperti il favorito era lui (forse anche prima del l’eliminazione di Federer).
Poco poteva Domenica il canadese Milos Raonic, giunto alla sua prima finale in uno Slam e giustiziere proprio dello stesso Federer, nonostante alla vigilia ci fossero dei dubbi sull’andamento del Match. Murray lo ha spazzato via in tre set, disinnescando il suo servizio letale e rimandandolo all’anno prossimo. Passanti ovunque, risposte al fulmicotone, 2 tie break giocati da killer e la consapevolezza di avere Lendl dalla sua parte hanno dato allo scozzese le armi necessarie ad abbattere il bombardiere nativo di Podgorica e, dopo tre lunghissimi anni di attesa, gli hanno consentito di trionfare nuovamente in ambito Slam. Quindi non ci si stupisca nell’apprendere che Murray ha vinto per ben due volte Wimbledon, anzi. La vera domanda da porsi è: perché non gioca così tutto l’anno? Cosa lo costringe ad appiattirsi al ruolo di eterno comprimario? Se ne avete la possibilità, chiedeteglielo anche da parte mia. Sempre che lui, eccellente ribattitore, abbia una risposta anche per questo…