Marina Abramovic nasce nel 1946 a Belgrado. Vive a pieno il clima comunista della città incoraggiata dai genitori, entrambi partigiani della seconda guerra mondiale. Nonostante le forti pressioni decide di rimanere distante dal mondo della politica, l’arte come suo unico interesse.
Nel 1976 lascia Belgrado e inizia a viaggiare per l’Europa: la sua casa era un furgoncino nero Mercedes, in cui Marina ha maturato e sviluppato gran parte delle sue opere.
Quella che vi ho raccontato potrebbe sembrare la storia di una ragazza qualsiasi, ribelle, il cui sogno è partire per mete lontane portando la propria arte nel mondo. Ma sarebbe un peccato ridurre la Abramovic ad una piccola artista alternativa che scappa dalle regole imposte dalla società: Marina Abramovic non ha soltanto portato una ventata di cambiamento nel campo delle arti, è stata lei stessa il cambiamento.
Quindi a questo punto sorge ovvia la domanda “perché?”, cosa ha fatto questa donna di così diverso da dover essere ricordata per la sua unicità?
Marina è rivoluzionaria perché con le sue opere ha totalmente stravolto il concetto di arte e di performance: ha messo alla prova il proprio corpo, i suoi limiti e le sue potenzialità espressive. Quello di Marina è un corpo senza “limiti e confini”.
All’Inizio additata come folle masochista, oggi è riconosciuta a livello mondiale, apprezzata da un pubblico più maturo ed aperto.
Nelle sue performances è Marina stessa l’opera d’arte: come un pittore utilizza la tela per comunicare con il pubblico, il performer usa il proprio corpo.
Il fisico dell’artista diviene il mezzo di espressione del dolore, dell’amore, dell’erotismo e della ribellione. Obiettivo di Martina è spingere il proprio corpo allo stremo delle sue possibilità, realizzando performances che possono arrivare a durare anche tre giorni.
Marina mette in scena temi importanti e non semplici da analizzare: temi che spaziano dalla politica, alla violenza della guerra, sino alla morte.
La Abramovic oggi è riconosciuta in tutto il mondo, e le sue performances sono richieste dai più disparati musei.
Palazzo Strozzi, a Firenze, fino al 20 Gennaio 2019, ospiterà la prima grande retrospettiva italiana dedicata a Marina Abramovic, con oltre 100 opere che offrono una panoramica sul lavoro dell’artista dagli anni Sessanta fino al Duemila; mezzo secolo di carriera ripercorsa attraverso foto, video e re-performances, messe in scena da performers selezionati che animano costantemente il palazzo.
Una delle performances più struggenti dell’artista, riproposta oggi a Firenze, è “Balcan Baroque”. Un’esibizione toccante e cruda per la quale la Abramovic ha vinto nel 1997 il Leone d’oro a Venezia.
La performance vuole andare a descrivere la violenza e la crudeltà delle guerre balcaniche degli anni novanta. L’artista siede su duemila ossa di vacca sporche di sangue e, per sette ore consecutive, in quattro giornate, non fa altro che pulirle, una ad una, senza mai fermarsi.
Lo scenario cupo e triste che Marina riesce a creare fa nascere nello spettatore emozioni precise e distinte, che non lasciano spazio all’immaginazione. Lo spettatore sperimenta il dolore della morte.
Marina ricorda: “I visitatori entravano in fila nel seminterrato del Padiglione Italia, disgustati dalla puzza, ma ipnotizzati dallo spettacolo; mentre pulivo, piangevo e cantavo canzoni della mia infanzia in Jugoslavia”.
Marina Abramovic tutt’oggi continua ad essere criticata su molti fronti: tante delle sue performances hanno spesso sfiorato l’irreale, proponendo spettacoli crudi e, talvolta, troppo forti.
Ma sono proprio questo tipo di performances che rendono Marina l’artista che oggi è: il sangue non ha mai significato in quanto tale; il dolore a cui l’artista sottopone il proprio corpo in alcune performances cela dietro di sé il desiderio di comunicare qualcos’altro al pubblico.
Andare a vedere uno spettacolo di questa artista significa voler sottoporre sé stessi ad una prova: significa tentare di ampliare i propri orizzonti, andare al di là di quello che vede il nostro occhio, e porci domande su quello che si potrebbe celare dietro un qualsiasi gesto ed evento.
A cura di Federica Boscaino.