Modello Mélenchon

Modello Mélenchon

Il leader di France Insoumise dovrebbe diventare un punto di riferimento per la sinistra nostrana (ed europea). Il suo è un progetto alternativo di società. Un’idealità condivisa da molti francesi, soprattutto i più giovani.

Sarà una corsa a due; la posta in gioco è l’Eliseo. Al ballottaggio del 24 aprile, per la seconda volta, Marine Le Pen, leader del Rassemblement National, sfiderà Emmanuel Macron, il presidente uscente. Al primo turno, Macron ha incassato il 27,85% dei voti, (circa il 3% in più rispetto al 2017, le ultime elezioni presidenziali). Segue Le Pen con il 23,15%; chi si aspettava una fuga di voti da destra, verso Eric Zemmour, si è dovuto ricredere. Il candidato ultranazionalista si è fermato al 7%. Voti che al secondo turno, con ogni probabilità, andranno in blocco alla signora Le Pen.

Queste elezioni fotografano il cambiamento che ha trasfigurato il quadro politico europeo, nel corso degli ultimi decenni, ribaltando lo spettro politico tradizionale. In molti paesi, tra cui l’Italia, la frattura destra-sinistra, lungo cui si svolgeva il conflitto politico, è gradualmente scomparsa, facendo posto ad un’altra divisione, che separa i partiti favorevoli all’integrazione europea dalle forze politiche che vi si oppongono. In realtà poi, la querelle tra europeisti e sovranisti è un mero riflesso, anche piuttosto sbiadito, del conflitto politico, quello tra globalisti e no global, che si sviluppa, per l’appunto, su scala globale, e non si ambienta semplicemente sul piano europeo.

Per capirci meglio: un tempo in Italia, così come in Francia, a contendersi l’esercizio del potere erano perlopiù due coalizioni, una di stampo progressista, di centro sinistra, e una di centrodestra, più conservatrice: i partiti “tradizionali,” le forze politiche riconducibili alle due grandi tradizioni culturali e politiche europee, quella popolare e quella socialdemocratica. I repubblicani e i forzisti da un lato, a destra, i socialisti e i democratici dall’altro, a sinistra…(ovviamente, con tutte le differenze del caso, tipo la legge elettorale e di conseguenza anche la struttura delle coalizioni, mono o multipartitiche).

Oggi non è più così; i partiti che hanno dominato, per decenni, la politica nazionale, stanno vivendo una fase di declino. Basti pensare a socialisti e neo-gollisti francesi, ridotti a forze politiche ormai marginali.

La sfiducia nei confronti dei partiti di sistema ha trovato espressione in forze politiche nuove, o vecchi partiti che hanno saputo reinventarsi (tipo la Lega), come movimenti anti-establishment (e bollate come populiste dai giornali di sistema). La linea di demarcazione che aveva separato, fino a quel momento, centro destra e centro sinistra, si è ulteriormente assottigliata, fino a scomparire.

Per intenderci: Forza Italia, partito di centro destra, presenta molte più caratteristiche in comune con il Partito Democratico (centro sinistra), piuttosto che con Fratelli d’Italia (destra). FI e PD sono accomunati dall’accettazione, di fondo, del modello globalista (e infatti hanno governato insieme in più occasioni). Sono partiti atlantisti, europeisti, neoliberisti…

Al secondo turno si scontreranno due visioni politiche opposte: non centrodestra e centrosinistra, come accadeva ai tempi di Hollande e Sarkozy, bensì l’europeismo di Emmanuel Macron, ex banchiere e figlio prediletto della finanza globalista europea, e il sovranismo di Marine Le Pen, venato di razzismo e intolleranza.

La responsabilità di questo cambiamento va imputata alla socialdemocrazia europea. La sinistra “ha fatto la pace” con il capitalismo; si è allineata al liberismo centrodestrista, accettando placidamente deregolamentazioni, privatizzazioni e liberalizzazioni di ogni sorta. In pratica ha rinunciato alla propria missione storica: gestire la globalizzazione finanziaria, ambire a darle una conduzione politica. E i ceti “sconfitti dalla globalizzazione,” PMI e precariato, si sono rivolti agli estremi dello spettro politico. Talvolta persino a destra.
Non è un caso che la Le Pen abbia fatto il pieno di voti tra operai, ed elettori che svolgono lavori umili, (un elettorato storicamente schierato a sinistra) mentre Macron abbia capitalizzato i voti delle classi più agiate, e di chi dispone di redditi alti.

Ciò significa che siamo condannati a decidere tra globalismo e antiglobalismo? Tra un sistema profondamente diseguale, presidiato dalle multinazionali, con piccole e medie imprese in via d’estinzione, e uno sterminato esercito di precari (che conta sempre più coscritti) o un mondo chiuso, una specie di stato di natura pre-hobbesiano segnato dalla rivalità tra Stati, dove nazionalismo e protezionismo sono di regola?

In Italia è probabile, almeno per il momento. L’elettorato francese è stato più fortunato: c’era un’alternativa, e molti di loro, soprattutto i più giovani, l’hanno saputa cogliere. Jean-Luc Melenchon, leader di France Insoumise, partito di sinistra radicale, è stato il terzo candidato più votato: stiamo parlando del 21,95% dei voti. E il grosso dei voti che ha preso viene dalla fascia d’età 18-35; generazioni sensibili all’idea di una società nuova, più giusta, più equa e più verde. La vera sinistra, quella che non è acriticamente globalista, europeista, atlantista… si tratta di tre dimensioni che accetta e in cui si muove, ma a cui guarda con piglio critico. Del resto, è questa la vera essenza del progressismo e del riformismo. La sinistra conservatrice e globalista italiana, invece, non si è fatta scrupoli, per bocca dello stesso Letta, a mettere Le Pen e Melenchon sullo stesso piano. Il francese, che pure i suoi errori, in passato, li ha commessi, (tipo le dichiarazioni ambigue su Putin) e con tutti gli innegabili difetti che presenta il suo programma (per certi versi, un po’ qualunquista), ha comunque avuto il coraggio e la coerenza di presentarsi alle elezioni con un progetto alternativo di società. E per realizzare un progetto simile, è necessario riaffermare il primato della politica, e quindi della democrazia, sull’economia, che nel mondo globalizzato è dominata ed eterodiretta da una ristretta cerchia di individui, da un’élite che è libera di fare il bello e il cattivo tempo. Il fatto che Letta preferisca Macron, espressione politica di questa élite, ad un sincero socialdemocratico quale Melenchon, qualifica il PD come partito centrista. Non è che la sinistra, in Italia, non esista. Di “alterglobalisti” ce ne sono. Ma essa è debole, disunita, versa in uno stato “pulviscolare” (divisa in micro partiti). Il “modello Melenchon” non è perfetto; tuttavia, il politico francese ha dimostrato che una parte dell’elettorato europeo è li che aspetta. Aspetta che qualcuno dica “qualcosa di sinistra.” Spera di non essere costretto a scegliere tra liberismo centrodestrista, difeso a spada tratta da popolari e liberali, e passivamente accettato dai “socialdemocratici”, e il protezionismo nazionalista sponsorizzato dai partiti conservatori e di estrema destra.

E questo vale soprattutto per l’Italia, dove il partito più grande, che si dice socialdemocratico, di socialdemocratico non ha ancora fatto nulla di concreto.

A cura del direttore Michelangelo Mecchia

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