A rileggere la storia di quegli anni, soprattutto con gli occhi di chi come me non l’ha vissuta od era troppo piccolo per capirla, si ha come la sensazione di trovarsi in un Thriller molto surreale. Americanata da cinema di periferia, vicende troppo da film per suscitare tensione. Mediocre, insomma. E invece no, quella storia ha vissuto davvero nella mente di una generazione spettatrice inerme, ha segnato tanti anni di cronaca giudiziaria, proprio nel momento in cui l’Italia avrebbe dovuto crescere, libera dai condizionamenti di quel muro che poco prima, a Berlino, era caduto. Sinossi semplice da ricostruire: anni 90, Cosa nostra, la più grande organizzazione criminale della storia, viene messa sotto accusa dallo Stato per mano di validi e coraggiosi magistrati. Colpo di scena: i cattivi non ci sono , “strategia della tensione”, una serie di attentati contro la Cosa Pubblica, una serie infinita di uomini onesti morti ammazzati. Obiettivo: scendere a patti con l’anello identificato come il più debole della catena, la politica. Ed è qui che il film non finisce come dovrebbe. I titoli di coda non scorrono, i buoni non vincono sui cattivi. La cosa non torna. Persino quel regista di periferia avrebbe schifato un finale così surreale. Anni dopo dei magistrati hanno indagato, provato a fare chiarezza, per fortuna. Oggi, a vent’anni da quel periodo, il processo è ancora in corso. Qualche settimana fa ad essere interrogato come “persona informata sui fatti” è stato Giorgio Napolitano, che all’epoca era Presidente della Camera e secondo la ricostruzione fatta dagli inquirenti anch’egli avrebbe ricevuto minacce da Cosa Nostra. Indignazione per la violazione della sacralità del Presidente, considerazioni illogiche sulla sua presunta indiretta responsabilità perche ci fosse buon esito nella trattativa Stato-Mafia; queste solo alcune delle reazioni dell’ ”opinionismo da salotto” italiano all’atto dei giudici di Palermo. La speranza che avvenisse il contrario era tenue, ma come al solito abbiamo perso un’ occasione. L’occasione di essere considerati un Paese maturo. Non mi sforzo di capire dove stia il merito dietro tali considerazioni, ma pare che la logica sia la stessa che porta tutti a considerare, da queste parti, come evento eccezionale, la normalità. Ovviamente con conseguente santificazione di chi fa bene il proprio mestiere. In questo caso la necessità di porre delle domande è diventata per qualche giorno il tema che ha animato tutti i media, con coerente “drogaggio” di noi affamati spettatori di Thriller mediocri. Perdonatemi per i toni, ma voglio approfittare della vicenda per dire a voi e ricordare a me stesso: impariamo, incominciamo a considerare la normalità come tale, senza discuterla e relativizzarla, altrimenti non saremo mai un Paese credibile. Fare bene il nostro mestiere non significa essere degli eroi. Significa semplicemente fare quello che si deve fare. Svestiamo, una volta per tutte, i panni del regista che inventa il “Deus ex Machina” per risolvere le trame dei suoi film. Altrimenti, resteremmo mediocri, trasmessi in un cinema di periferia.
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