Non possiamo continuare a vaccinarci per sempre

Non possiamo continuare a vaccinarci per sempre

No alla quarta, alla quinta e alla sesta dose. Ora è il momento della “focused protection,” per una campagna vaccinale funzionale, più sostenibile e democratica.

*Articolo scritto il 19 gennaio 2022.

Stando al “Report Vaccini Anticovid” pubblicato sul sito istituzionale del governo, e aggiornato in tempo reale dall’apparato commissariale, più di 28 milioni di cittadini italiani si sono recati negli hub vaccinali per ricevere la dose addizionale di vaccino, il cosiddetto “booster.” È la terza volta, e molti di loro sperano che sia l’ultima. Ma i dati che provengono dall’estero non promettono nulla di buono.

Il 2 gennaio 2022, Israele ha già dato il via alla somministrazione della quarta dose, a quattro mesi dall’inoculazione della terza, per tutti i cittadini over 60. Ciò significa che molto probabilmente, la protezione immunitaria ottenuta completando il ciclo vaccinale primario (due dosi), e rinsaldata dal booster (la terza dose) comincia ad allentarsi e a venire meno a distanza di soltanto 4 mesi.
Ergo, anche nel nostro Paese, tra un pugno di mesi, i cittadini che si sono sottoposti alla terza dose dovranno fare ritorno nei centri vaccinali per la quarta volta. In pratica, finché la protezione messa in piedi dal vaccino ha una durata così limitata, rischiamo di restare incastrati in una campagna vaccinale perenne, scandita da somministrazioni annue a cadenza quadrimestrale. Per carità, c’è anche chi non lo considera un problema.

Dal canto mio ho sempre nutrito forti riserve in merito alla vaccinazione di massa, anzitutto per i risvolti che essa può avere, potenzialmente, nel lungo termine. In un articolo pubblicato su Globetrotter il 21 settembre 2021, dal titolo “la variante Loop, che resiste al vaccino,” scrissi che negli anni a venire, somministrare questo vaccino a tutti i cittadini, a cadenza periodica, sarebbe diventato insostenibile, e alla lunga, con più di un richiamo l’anno, persino dannoso. Oggi a distanza di mesi, parafrasando Craxi, (di cui, proprio oggi, cade l’anniversario della morte) credo che “i fatti,” almeno in parte, “si siano incaricati” di darmi ragione. Ci sono volute quattro dosi.

Marco Cavaleri, il responsabile della strategia vaccinale dell’EMA, soltanto recentemente ha dichiarato, nel corso di un briefing video con la stampa, che “le vaccinazioni ripetute a brevi intervalli non rappresentano una strategia sostenibile a lungo termine”. “Non possiamo continuare a dare dosi di richiamo ogni tre o quattro mesi”, ha detto Cavalieri, e “dovremmo fare attenzione a non sovraccaricare il sistema immunitario con ripetute immunizzazioni.”
Andrea Crisanti ha dichiarato che i booster vaccinali, nel lungo termine, “non fanno bene al sistema immunitario.” L’ipotesi fa capolino anche sulle colonne dei giornali più importanti del Paese; si registra un cambiamento rispetto a quella che è stata, fino a questo momento, la narrazione mediatica imperante.
Sergio Abrignani, immunologo del CTS, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera ha scritto che “non è una buona idea abbreviare troppo (i tempi tra una somministrazione e l’altra, n.d.r.)”. “Se si vaccina ogni 2-3 mesi, dopo un’po’ potrebbe ottenersi l’effetto contrario. Il sistema immunitario potrebbe “anergizzare” (l’anergia è incapacità dell’organismo di reagire ad infezioni)”. Anche Guido Rasi, ex direttore dell’EMA e consulente del generale Figliuolo, si è espresso sull’argomento: “la quarta dose non serve, ci salva la memoria immunitaria.” (Repubblica).

A fronte di un dato di fatto, l’insostenibilità della vaccinazione a tappeto, credo che si debba perlomeno cominciare a valutare delle alternative, originariamente scartate in favore della campagna vaccinale di massa. Chiaramente, l’opzione prediletta dall’EMA, e dalle istituzioni medico-sanitarie, consiste nello sviluppo di un vaccino più efficace. Ma potrebbero volerci anni. Nel frattempo, credo che che si debba circoscrivere l’obbligatorietà vaccinale a specifiche categorie di cittadini, pazienti per cui il Covid rappresenta realmente un pericolo, e lasciare libertà di scelta a chi, in base al proprio quadro clinico e alla fascia d’età d’appartenenza, corre pochi se non zero rischi a causa del virus (Sotto i 49 anni, il tasso di letalità del Covid si attesta attorno allo 0,1%, a scendere, e il 67,7% delle vittime presenta 3 o più patologie, mentre il 2,9% ne presentava 0, ISS).

Lo scrissi anche nell’articolo di cui sopra, pubblicato a settembre del 2021: “si potrebbe pensare di destinare in via esclusiva il farmaco, periodicamente aggiornato in base alla variante di turno, soltanto alle classi più fragili, alle categorie a rischio, o al personale medico sanitario.” Un tempo si diceva che chi non è a rischio deve comunque vaccinarsi, per non contagiare e quindi proteggere il soggetto che, a causa dell’età o altre forme di fragilità, è a rischio decesso o ospedalizzazione grave, nonostante la vaccinazione. Ma quest’argomentazione è venuta meno con la comparsa della variante Omicron, che ha fortemente ridimensionato le differenze tra vaccinati e non vaccinati, perlomeno in termini di contagio (e non di decessi e ospedalizzazioni gravi, dove, indubbiamente, tra le categorie fragili si contano più non vaccinati).

In un articolo più recente, “Il Modello Fauci,” ho parlato della Great Barrington Declaration, uno studio pubblicato nel corso della prima fase pandemica, scandita, in assenza di vaccino, da lockdown e chiusure generalizzate. Il documento, elaborato da scienziati illustri, e sottoscritto da premi Nobel, metteva a confronto una serie di dati; la conclusione dello studio era che sarebbe stato più conveniente, sulla base di un calcolo costi-benefici, circoscrivere le chiusure e le limitazioni alle categorie più fragili. Si parlava, per l’appunto, di “protezione focalizzata,” un concetto che, una volta riadattato alla questione vaccini, consentirebbe al Governo di mettere in piedi una campagna vaccinale che sia funzionale, e quindi in grado di ridurre e decongestionare la pressione esercitata dal Covid-19 sulle strutture sanitarie, sostenibile, senza vaccinazioni a cadenza quadrimestrale per tutti i cittadini, anche quelli meno esposti ai pericoli rappresentati dal virus, e più democratica, dal momento che alla maggior parte dei cittadini verrebbe garantita libertà di scelta.

Chiaramente, chi non è vaccinato o ha smesso di sottoporsi ai richiami, memoria immunitaria a parte per quest’ultimo, non può permettersi di sottovalutare il virus e di lasciare sguarnite le proprie difese. In proposito, lo scorso settembre scrivevo: “bisogna approfondire altre cure, studiare altri approcci; in questi mesi abbiamo parlato spesso di plasma iperimmune, idrossiclorochina, anticorpi monoclonali, cure domiciliari precoci…alcuni efficaci, altri meno, altri ancora per nulla.” Ad oggi invece, a distanza di mesi, credo di poter affermare che l’efficacia delle cure domiciliari precoci sia comprovata dall’esperienza sul campo di migliaia di medici. Proprio qualche giorno fa il TAR ha abrogato le linee guida promulgate da Aifa, e illustrate in una circolare ministeriale, che prescriveva ai medici, in merito alle indicazioni di gestione a domicilio dei pazienti Covid, l’utilizzo esclusivo di paracetamolo (Tachipirina) fans e eparina, sconsigliando tanti altri farmaci che al contrario, stando all’esperienza maturata dai membri del Comitato, e alla sentenza del giudice amministrativo, hanno contribuito a curare tanti pazienti affetti da Covid. Presto fuori su Globetrotter contenuti speciali, e di approfondimento, dedicati all’argomento.

A cura del direttore, Michelangelo Mecchia

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