#Parigi: una pietra miliare per il futuro

#Parigi: una pietra miliare per il futuro

132 morti, 352 feriti, di cui 99 gravi: questo è il bilancio finale dell’attacco terroristico del 13 Novembre 2015, scoppiato alle 21:20 nello Stade De France, alla periferia della capitale francese, dove era in corso la partita amichevole Francia-Germania. Poco dopo, altri attacchi in città: così colpi di kalashnikov in un ristorante ed in un bar del X arrondisement, massacro al Bataclan – sala da concerti nell’XI arrondisement, non lontana dalla sede di Charlie Ebdodove sono morte 118 persone, spari a Beaumarchis ed in altre due strade. Ancora, invece, non definitivo il numero dei dispersi. Da poche ore, purtroppo, è stata resa ufficiale la notizia della morte della ragazza italiana di 28 anni, Valeria Solesin, di cui non si avevano notizie dopo l’attentato al teatro. La polizia francese, nel frattempo, svela gli scenari sull’accaduto, rivelando che il tutto è stato opera di squadre coordinate di terroristi, organizzate come in un’azione di guerra, facenti ricorso a kamikaze. Otto sono stati gli attentatori per le forze dell’ordine, tutti morti: sei dei quali si sono fatti esplodere.

Definirla un’offensiva terroristica che ha colpito il cuore della Francia (per la seconda volta in meno di un anno) non basta, il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama parla di attacco terroristico volto non solo alla Francia ma a tutta l’umanità. Nel frattempo, a meno di 24 ore di distanza dall’accaduto, il Paese piomba in stato d’emergenza con conseguente controllo e chiusura delle frontiere, con mobilitazione di 1500 militari a Parigi e chiusura di monumenti e scuole.

Twitter è diventato subito colmo di frasi di vicinanza ed incoraggiamento verso il popolo colpito: subito sono divenuti Trend gli hastag #ParisAttack e #PourteOuverte, quest’ultimo creato dai cittadini per diffondere in rete la disponibilità di soccorso verso le persone bloccate in strada dopo gli attacchi terroristici, andando così contro il consiglio della Polizia, rivolto a tutta la città, di restare all’interno delle proprie abitazioni.

Anche se trascorse poche ore, anche se molto distanti dal luogo degli accadimenti, in Italia, come in molte altre nazioni,si respira un’aria viziata, si scorge un’atmosfera cupa e malinconica. Il tutto è sottolineato, poi, dal discorso di Papa Bergoglio che etichetta l’avvenimento come un attacco al quale non si possono dare giustificazioni, ne’ con la razionalità ne’ con la fede, qualunque essa sia.

Che si tratti di “un inizio di Terza Guerra Mondiale a pezzi” come scrivono molti giornali seguendo, e magari anche un po’ calcando, le parole dello stesso Pontefice?

Offuscate sono le considerazioni al riguardo, certamente sembrava inimmaginabile che nel 2015, a 70 anni di distanza dall’epilogo della Seconda Guerra Mondiale, il mondo potesse precipitare nuovamente nel baratro di un conflitto armato di ampia portata.

Difficile fare qualcosa in concreto, ardue le decisioni da prendere per il futuro e sicuramente complesso lo scenario Geo-Politico instaurato che ora lega i vari paesi europei e non affinché si faccia qualcosa per evitare un futuro caso analogo.

L’ISIS, nel frattempo, continua a minacciare altre città quali Roma, Londra e Washington e ad affermare che Parigi deve essere pronta per un successivo attacco, che le rivendicazioni non devono considerarsi concluse nella notte del 13 Novembre, data che dovrà essere ricordata dai Parigini come l’11 Settembre dagli Americani.

Parole forti e scenario incerto, anche in vista dell’imminente Giubileo, intorno al quale nascono sospetti e paure sulla possibilità di mantenere controlli adeguati da parte delle forze dell’ordine italiane affinché non si ripetano fatti di strage.

Sugli episodi di Parigi però rimangono i dubbi, le possibili critiche relative ad un intervento protettivo mancato…

Non scompaiono nella gente le emozioni contrastanti che la spingono a fare qualcosa, sia esso il semplice pubblicare una foto su Facebook con il tricolore francese, il tweetare parole di condoglianze, di rammarico o, magari, rivelanti un senso di incapacità di azione e di impotenza rispetto ai fatti visti come molti più grandi di noi, o il semplice gesto di preghiera verso le vittime e le rispettive famiglie.

Una cosa è certa, proprio non si riesce ad accettare il fatto che in un mondo sempre più pragmatico, nel quale si cerca di bandire l’irrazionalità (ed a volte anche la fede), esistano estremismi e fanatismi religiosi che portino ad eventi tragici.

La scelta, infatti, di sacrificare in nome di un Dio il proprio corpo per via di un esplosione auto indotta, la correlata decisione di porre fine alla vita di innocenti, questi ultimi aventi come colpa solamente il trovarsi affianco al terrorista, non trova alcuna giustificazione e non dovrebbe essere per il suicida-kamikaze motivo di orgoglio o di ricordo e venerazione.

Siamo davvero giunti a ritenere che un Dio, seppur esista, apprezzi un atto simile? Non dovremmo, invece, cogliere i soli messaggi positivi dalle Sacre Scritture, qualunque esse siano, ritenendoli utili per l’accrescimento intellettuale e spirituale umano?

Non dovremmo cercare di salvaguardare la nostra specie anziché scatenare attentati che minano alla pace e all’equilibrio del Pianeta?

Tali domande difficilmente otterranno una risposta, almeno nell’immediato, almeno in questo periodo storico in cui gli interessi legati al denaro ed alla supremazia territoriale ed economica sembrano condizionare le persone fino ad indurle a prendere decisioni estreme che non trovano giustificazione secondo razionalità ed etica umana.

Magari in un futuro prossimo, a distanza di anni da tutto ciò, vedremo diversamente gli accadimenti, prenderemo decisioni in modo più maturo e in maniera più consona ai canoni etici e morali, forse verrano portate avanti idee e progetti volti alla salvaguardia degli individui, delle religioni, dei costumi e degli usi anziché creare conflitti solamente per il colore della pelle o per il credo religioso.

Ora, però, non possiamo rimanere con le mani in mano, non possiamo solamente sperare che sopraggiunga un futuro migliore, dobbiamo creare noi stessi le basi per un avvenire stabile e pacifico.

Bisogna fare qualcosa, ma certamente non prendere le armi in mano, come molti soggetti, per via dello shock subito, hanno suggerito sulle varie piattaforme sociali. La soluzione armata, infatti, la scelta di rispondere al fuoco con il fuoco, non è degna di un popolo che si definisce moderno e garante dei diritti altrui. La guerra, come ci insegna la storia, provoca solamente desolazione e morte. Dobbiamo invece puntare su tutt’altro, su scelte diplomatiche e confronti culturali e -in primis- sull’educazione dei soggetti, in modo da sviluppare sempre più un senso critico che li porti ad assumere decisioni congrue, avulse da condizionamenti di credi religiosi.

Anche nel nostro piccolo possiamo svolgere azioni utili, basta fissare il tutto nella nostra mente affinché un avvenimento simile non si perda nelle pagine della storia…Proprio di questo ho paura, temo per la scomparsa della notizia, che quest’argomento passi in secondo piano rispetto a nuove e più recenti notizie di mero gossip quotidiano, che tutte le parole dette, i pensieri avuti, le vittime cadute, i migliori possibili futuri scenari immaginati rimangano semplicemente congelati nella nostra mente, senza che se ne parli, senza che si provi a realizzarli.

Dobbiamo credere in qualcosa, attaccarci ad idee che reputiamo certezze, conservare intatti e vividi nella nostra mente i ricordi dei fatti accaduti, credere che anche se viviamo in un mondo caotico ed in continuo aggiornamento, dove sempre più velocemente le notizie scompaiono a favore di quelle più recenti, rimanga qualcosa di fisso, di indelebile, da cui prendere forza e coraggio, una pietra miliare, insomma, per cui lottare ed andare avanti, che porti speranza per un futuro diverso, per un cambiamento in meglio…Altrimenti, che ne sarà di noi? Dove finiranno le nostre supposizioni, i nostri progetti, il nostro futuro?

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