Dall’incontro tra il regista Emir Kusturika, eclettico e vulcanico estro balcanico, da sempre portatore sano di passionalità popolari, viscerali e multiculturali e Josè Alberto Mujica Cordano detto Pepe Mujica è nato un documentario, presentato nella sezione Fuori Concorso alla settantacinquesima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia che si distingue per autenticità, solidità e umanità disarmanti.
Nelle intenzioni registiche c’era la volontà di intervistare quello da lui stesso definito come l’ultimo eroe della politica, eletto presidente dell’Uruguay durante il quinquennio 2010-2015, un uomo che è diventato simbolo del suo paese e di un’utopia politica di giustizia sociale difficilmente riscontrabile tra le nazioni del nostro tempo. Tra il regista e il presidente, seduti su una panchina fatta di tappi di bottiglia, all’ombra degli alberi della sua fattoria di famiglia, poco fuori Montevideo, sua sola, unica, storica dimora, poche domande chiare per altrettante poche chiare parole; silenzi, sorrisi e una grande spontanea complicità. Si ricostruisce una storia in cui le vicende del paese e quelle dell’uomo Pepe non si perdono mai di vista: la lotta civile durante il regime dittatoriale degli anni 60-70, le azioni di forza, la militanza tra i guerriglieri Tupamaru, l’amore per Lucia, sentimento incontrato, cresciuto e condiviso proprio tra le fila dei compagni combattenti, gli anni durissimi della prigionia, il trionfo elettorale, l’impegno per un socialismo democratico autogestito, il suo contegno quotidiano, che ha contribuito ad alimentare il mito del buon pastore nel corrotto mondo dei “pastori” contemporanei, il suo mitico discorso finale nell’ultimo giorno di mandato.
Si alternano filmati recenti o risalenti, testimonianze di storici compagni di lotta e di carcere, foto, impressioni comuni, brandelli di città e riflessioni di vita, semplici e profonde al tempo stesso, di un uomo-presidente, la cui famiglia è e resta l’Uruguay. “Da un male può venire un bene ed è questa una cosa difficile da accettare a sangue freddo per i più”: lo dice Pepe riferendosi ai lunghi anni della prigione, all’isolamento coatto successivo alla sua evasione, senza aver vissuto quel periodo, ribadisce con fermezza, oggi non sarebbe la stessa persona, non avrebbe le sue capacità e la sua morale. Pepe è il politico che devolve il 70% del proprio stipendio in favore dei più bisognosi; che guida ancora un maggiolino celeste della Wolkswagen ricevuto in dono, mai venduto nè sostituito, diventato oggi un suo segno distintivo nell’immaginario collettivo; Pepe quasi ogni giorno guida il trattore, ara la terra, alleva animali e insegna ai più piccoli come ci si prende cura delle piante e dei frutti.
Stupisce ed affascina una persona così, perché non la crediamo possibile, e non siamo abituati a certe dosi di umanità in chi di mestiere maneggia la politica: ben si ricorda nel documentario che, all’indomani della vittoria elettorale, il neo-presidente ha ringraziato i suoi elettori ricordando che sul palco avrebbero dovuto esserci tutti coloro che l’avevano votato mentre lui avrebbe dovuto essere in strada ad applaudirli. Non sembra neanche una carica istituzionale quando cammina tra le vie delle periferie dismesse, progettando recuperi di spazi, affidando compiti, litigando con i suoi contestatori e poi abbracciandoli come si trattasse di vecchi compagni, da sempre amici e rivali.
Pepe è anche l’uomo che non si è mai pentito di aver rapinato una banca negli anni della lotta armata, perché rappresentante “la quintessenza del capitalismo, il distillato”: i figli di questa dottrina fondano la propria ricchezza non già sullo sfruttamento dell’altrui lavoro ma dell’altrui denaro, per cui non sono più neanche assimilabili ai padroni di storica memoria, vessatori dei loro sottoposti; sono i nuovi ricchi, venuti dal nulla, che non si sporcano le mani, non conoscono il lavoro vero né intendono conoscerlo; e di questo modo di vivere gli USA, aggiunge il presidente, sono i rappresentanti più grandi a livello mondiale. E’ lucido, presente, combattente, consapevole, sceglie autonomamente a cosa credere e continua a credere: non è una fede astratta la sua, ma un sentimento umanitario che è imprescindibile, una fame d’amore e di vita cui lui è riuscito a dare in pasto negli anni solo ed esclusivamente un cibo, ossia la politica. Dice l’ex-presidente: “Fare politica è l’unico modo che io ho trovato per amare la vita”.
Non avrebbe potuto fare altro.
E forse questo è il segreto di Pepe Mujica, della politica sana e della bontà di ogni lavoro che parta da queste motivazioni. Va riconosciuto che con lui il paese ha ritrovato compattezza ed identità e lui stesso continua a costruirla ogni giorno in un dialogo costante in vista del futuro, di ciò che lascia e di ciò che verrà. “Do you regret anything?” chiede Emir a Pepe; gli occhi del leader si fermano in un punto, un respiro e poi la voce comunque sicura, solo più profonda “Si, non avere avuto figli”. Il sognatore, l’alleato della patria il romantico ideologo, il padre di nazioni, il leader che potremmo voler diventare da grandi, confessa che si preoccupa del domani, di quanto accadrà dopo che non ci sarà più: lascerà persone migliori di lui sicuramente e continuerà a parlare ad ognuno perché la
comunità non perda se stessa, non si dimentichi cosa è e cosa ancora può diventare, sempre un passo avanti a quello che già ha, per costruire di nuovo e ancora. “Non me ne vado” dirà nel suo ultimo storico discorso da presidente, “sto arrivando”. Difficile aggiungere altro.
Regia: Emir Kusturica
Fotografia: Leo Hermo
Cast: Pepe Mujica
A cura di Flavia De Lipsis