#Perugia2017 – Il diritto a morire: intervista a Marco Cappato

#Perugia2017 – Il diritto a morire: intervista a Marco Cappato

“Eutanasia”, “suicidio assistito” e “testamento biologico” sono solo alcune fra le parole che compongono la galassia di termini legata al mondo del fine vita. La discussione relativa alla possibilità di intervenire legalmente sulle condizioni che mantengono in vita l’essere umano, in momenti estremamente delicati per la sua vita, riaccende ogni volta ricordi tragici per il nostro Paese: Eluana Englaro è solo una fra le vittime più note di un vuoto legislativo che, in questi giorni, si sta cercando almeno in parte di colmare, in quanto consente il perpetrare di ingiustizie come il recente caso di Dj Fabo.

Durante il Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia, ho avuto la fortuna di poter scambiare alcune parole con un attivista al centro del dibattito odierno sul tema della legalizzazione dell’eutanasia: Marco Cappato.

Ecco il frutto quella breve – ma intensa – conversazione.

 

D: Partiamo subito con l’introdurre il dibattito fra eutanasia e suicidio assistito, magari definendo le differenze chiave fra i due concetti.

R: In realtà “eutanasia” è anche un concetto filosofico: “morire bene”. Cosa significa? Senza soffrire e nel modo più simile a quello che uno vorrebbe. In termini più “paralegali” – anche se “eutanasia” non è una parola inclusa nel codice penale -, si intende l’aiuto attivo di un medico alla morte.

Nel caso del cosiddetto “suicidio assistito” è la persona stessa che assume la sostanza eutanasica, senza l’intervento del medico. Sono tutte definizioni molto significative ed importanti. Personalmente ritengo che la cosa più importante sia riconoscere la libertà di scelta alla persona che deve interrompere una sofferenza non più sopportabile.

D: Quanto, quindi, la battaglia per la legalizzazione dell’eutanasia è effettivamente una battaglia di giustizia sociale?

R: Ormai è una realtà sempre più diffusa, il fatto che la morte non sia un momento di un attimo, ma un processo. Con l’innalzamento della vita media, la realtà sociale del “fine vita”, cioè di un processo del morire che può durare molto tempo, è quello che si vede nelle rianimazioni, negli ospedali, nelle case dei cittadini. Ormai il vissuto della gente…le persone sanno cosa significhi ed è una realtà sociale a cui il diritto, la legge, la politica non ha ancora saputo dare una risposta. In parte ci sono arrivati i giudici, in parte no. Ecco: l’urgenza sociale di buone regole per consentire il pieno valore legale del testamento biologico, il pieno rispetto delle direttive, delle disposizioni della persona e anche delle scelte di eutanasia.

D: Come sta cambiando l’opinione pubblica relativa al tema? C’è un avvicinamento rispetto alle posizioni di chi sostiene la legalizzazione dell’eutanasia?

R: L’opinione pubblica è pronta, è la politica che lo è molto di meno, nei suoi vertici almeno, ma tutti i sondaggi ci confermano che l’opinione pubblica sia in gran parte favorevole.

D: E la politica invece? Mi riferisco soprattutto agli ultimi testi in fase di approvazione in Parlamento. C’è qualcosa che sta cambiando?

R: Il problema sono i capi dei partiti, che non hanno mai molto interesse che si discuta di temi che tagliano trasversalmente i partiti e le coalizioni, ma molti parlamentari stanno facendo un lavoro serio. C’è sulla carta una maggioranza parlamentare trasversale almeno sul testamento biologico, quindi ci sono le condizioni per farcela. Speriamo che non prevalgano logiche di altro tipo.

 

A cura di Riccardo Antonucci.

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