E’ ormai un dato di comune e condivisa conoscenza il fatto che il nostro pianeta sia in pericolo, e con esso la vita dell’uomo e di tutti gli esseri viventi con cui quest’ultimo lo condivide. Le problematiche sono note da tempo e riempiono le pagine di quotidiani e notiziari, e vanno dalle isole di plastica nelle distese d’acqua, ai ghiacciai che si sciolgono e ancora alle emissioni nocive eccessive… a cui si aggiunge ora l’Amazzonia che brucia. Lo scenario creatosi vede quindi da un lato problemi ambientali di ogni tipo e dall’altro una carenza di possibili soluzioni e prospettive alle precedenti questioni.
Il quadro che si è delineato e che sta continuando a cambiare ricorda molto quello di un mito, contenuto nella Bibbia ed anche molto famoso, quello dell’Arca di Noè. Come ogni altro testo sacro, la Bibba è suscettibile di molte interpretazioni. Quella che appare più vicina all’attuale situazione è quella secondo cui così come Noè salvò con la sua Arca la natura allora vivente da un cataclisma che procurò l’inondazione del mondo, così oggi tale mito si fa allegoria di una salvezza etica dell’umanità, che appare condannata dalla sua stessa distruttiva stoltezza verso la quella stessa natura. Questo collegamento fa pensare all’esistenza di una duplice alleanza, che non è solo tra uomo e uomo, ma anche tra uomo e natura, oggi soprattutto.
Ebbene è proprio questa alleanza che va difesa a tutti i costi per continuare a dare speranza alle generazioni presenti e future. Perciò tra le possibili soluzioni al problema ambientale è necessario distinguere l’analisi tra breve e medio-lungo termine.
In primo luogo a breve termine, bisogna considerare quale soggetto di responsabilità la cd. ‘famiglia umana’. Ognuno di noi nel proprio piccolo dovrebbe cambiare o consolidare le condizioni comportamentali pro-ambiente, riscoprendo quella cultura delle regole civiche insita nell’uomo ma che via via si sta smarrendo: è imperativo intervenire tempestivamente!
In secondo luogo da un punto di vista medio-lungo termine si dovrebbe procedere a riorientare la produzione globale nel segno della riduzione di emissione di gas climalteranti. Se è vero che nel breve periodo questo comporterebbe costi eccessivi per alcune zone del globo non pienamente industrializzate, è altrettanto vero che nel medio porta beneficio alle stesse economie coinvolte.
Strettamente connesso al riorientamento produttivo poi si è anche l’organizzazione dell’utilizzo dell’ambiente.
Prospettiva quest’ultima complessa da realizzare nell’immediato e affidata al lungo periodo. Essa mira al raggiungimento su scala globale di un livello massimo di emissione che sia proporzionale alla popolazione calcolata per area. Si discute circa la realizzabilità o meno di questa prospettiva in quanto secondo alcuni metterebbe a rischio il livello di competitività delle singole nazioni, ed in particolare di quelle che basano la loro produzione su fonti di energia non rinnovabili (carbone, petrolio e gas naturale). Tuttavia, ragionando ad ampio raggio appare ormai assodato che tali fonti energetiche sono destinate a sparire in tempi non così distanti.
Il problema diventa dunque di natura prettamente economica, poiché intorno ai giacimenti petroliferi e di gas naturale vi sono numerosi cartelli e un eventuale fallimento di questi causerebbe non pochi disastri alle economie coinvolte. In uno scenario globalizzato come il nostro, gli impatti economici relativi al passaggio da fonti di energia derivanti da combustibili fossili a fonti rinnovabili dovrebbero essere attenuati attraverso lo studio mirato di tecniche di governance, di rapporto e di raccordo tra tutti i soggetti che agiscono su scala globale, e non di esclusiva tutela di interessi nazionali sovranisti.
A tal proposito, si verifica una situazione bene o male analoga in Brasile relativamente all’Amazzonia in fiamme. Il presidente brasiliano è stato responsabile di una politica ambientale poco accorta e negazionista che pare aver messo in pericolo, seppur indirettamente, il polmone della Terra che dona agli esseri umani il 20% dell’ossigeno necessario alla sopravvivenza. Anche in questo caso il problema è di governance, che non deve e non può essere abbandonata nelle mani dei singoli, soprattutto per questioni che riguardano tutto il pianeta, ma deve avere carattere ‘cooperativo’ tra le nazioni.
Per concludere, nell’epoca della globalizzazione, in presenza di gravi problematiche quali quelle ambientali risulta difficile rispondere alla domanda ‘Who governs?’.
In un sistema a sovranità reticolare, non essendoci un centro non vi è nemmeno un vertice alto e uno basso, non vi è quindi un’autorità centrale che verticalmente impone rimedi definitivi.
Questi ultimi si scrivono consensualmente, attraverso linee orizzontali di relazione.
Articolo a cura di Luca Maria Lochi