Crisi in Crimea, spionaggio alla Clinton, bombardamenti incessanti su Aleppo: La Russia non manca mai. Sta sempre lì, osa dove gli altri non oserebbero, interviene dove gli altri non interverrebbero, sorveglia dove gli altri non sorveglierebbero. Ogni qualvolta si voglia parlare di politica estera, spunta sempre lei, personificata dal suo zar 2.0: il criptico Vladimir Putin. Egli, come la sua patria, ha una doppia faccia: quella autoritaria del leader interno, quella autorevole da leader di una grande potenza. Ambivalente come un Paese disastrato da una crisi economica interna, ma che vede sempre di più accrescere la propria notorietà internazionale. Mentre il Pil diminuisce, le spese militari aumentano. La Russia spende quasi 70 miliardi di dollari in spese militari, con un incremento del 7,5% su base annua. Il Pil invece diminuisce dello 0,6% nell’ ultimo trimestre: prezzo del petrolio basso e sanzioni economiche sono le principali cause. Proprio in questi giorni, si discute, in ambito comunitario, sul rinnovo delle sanzioni, partite nel 2014 dopo la crisi in Crimea e proseguite fino ad oggi cambiando ogni tanto la motivazione. Quella attuale, che induce le autorità europee a punire Mosca, è la situazione siriana. I bombardamenti dei jet russi su Aleppo hanno ucciso migliaia di civili, spesso bambini sulle strade della “città”. Le sanzioni economiche puniscono i maggiori settori dell’economia russa: energia, armi e finanza. L’ embargo ostacola la vendita di molti beni e prodotti sul continente europeo.
Naturalmente, la Russia risponde con gli stessi metodi, limitando il mercato delle aziende europee sul proprio territorio. Questi battibecchi sono costati molto alle imprese italiane, che hanno perso oltre tre miliardi di euro in export solo nel 2015. Per questo motivo, la linea del governo italiano è poco incline ad ulteriori azioni punitive nei confronti di Mosca. Mentre i Governi europei decidono sul da farsi, Putin, a dispetto di tutto il contesto, persevera imperterrito nella sua strategia di Marketing. Di pochi giorni fa, la notizia dell’arrivo di un nuovo missile balistico intercontinentale alla Difesa russa. Il cosiddetto “Satan 2” è capace di volare per oltre 11.000 mila chilometri, equipaggiato con dieci testate nucleari in grado di distruggere un’area grande come il Texas. Proprio nel fortino repubblicano, si auspica una vittoria del nuovo amico di Putin: Donald Trump. Putin spera che, in caso di vittoria di Trump, gli Stati Uniti possano commettere alcuni errori sul piano strategico, che possano favorire la leadership della Russia. Infatti, Un Trump alla casa bianca potrebbe far perdere credibilità internazionale agli Stati Uniti, tutto ad appannaggio di Mosca.
L’ obiettivo principale di Putin è proprio quello di recuperare il ruolo di potenza egemone. Tuttavia, lo Zar non può fare più affidamento, come avveniva durante la “Guerra Fredda”, ad un blocco sovietico-comunista capeggiato dalla stessa Russia. Putin sta tentando con tutti gli sforzi possibili di racimolare qualche alleato in giro per il mondo. Eclatante è la riconciliazione con Erdogan in Turchia. Nonostante la Turchia abbia abbattuto un caccia russo alcuni mesi fa, con il conseguente raffreddamento delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi, Putin ha stretto, pochi mesi fa, un accordo con Ankara, in funzione anti-europea e anti-USA. Questa nuova alleanza strategica potrebbe essere riassunta come “Il nemico del mio nemico è mio amico”. Difatti, Turchia e Russia combattono sinergicamente in Siria nel tentativo velleitario di restaurare un potere centrale che ormai non c’è più. In un mondo sempre più democratico e con nuovi equilibri, Putin arranca sempre di più sul piano politico ed economico. Certamente Putin è riuscito a mantenere almeno la parvenza che la Russia sia uno stato centrale negli equilibri internazionali. Tuttavia in molti, anche all’ interno, cominciano a dubitare sulla sostenibilità del progetto Zarista.
Ad aggravare ulteriormente le cose, si aggiunge anche la stima sulla effettive riserve di Gas e Petrolio. Al ritmo attuale, i maggiori giacimenti petroliferi potrebbero esaurirsi, all’ incirca, nel 2035. Per dare una stima, l’export di Gas e Petrolio copre un terzo del PIL russo. Lo scioglimento della calotta artica, a causa del riscaldamento globale, potrebbe far scoprire nuovi giacimenti, ma resta il fatto che prima o poi i combustibili fossili termineranno. E in quel caso non ritengo che basteranno il turismo e le vendite di kalashnikov a sostenere tutta l’economia russa. Forse quel giorno, pur di ottenere un po’ di soldi, si dovrà vendere il Cremlino a qualche futuro Trump americano, che magari lo adibirà a Hotel di lusso e Casinò. Ma, probabilmente, quel giorno Putin sarà già Put-out.
A cura di Eugenio Baldo