É successo di nuovo: un tentativo di furto nel cuore della notte è finito nel sangue con la morte del ladro ucciso dal proprietario che ha aperto il fuoco. Questa volta è stato un pensionato a difendersi, Francesco Sicignano, 65 anni e residente di lunga data a Vaprio D’Adda, paesino dell’hinterland milanese che già aveva lamentato problemi di sicurezza.
Subito è partita la campagna di solidarietà nei suoi confronti e con essa le prime polemiche. Fratelli D’Italia e la Lega l’hanno difeso e l’eurodeputato Buonanno ha incitato ad armarsi mostrando una pistola in diretta TV. Ma si può dire che il vero problema siano le armi? Il timore per la propria vita può essere compensato dal possesso di una pistola con cui difendersi o rischieremmo invece di introdurre altri e nuovi problemi come vari casi di cronaca, negli USA in primis, ci dimostrano annualmente?
Il nostro codice penale prevede, in caso di aggressione, una proporzionalità tra offesa e difesa. Il rischio evidente è quello di far venire a mancare quest’ultima, con un aumento dei casi in cui i proprietari spareranno agli intrusi.
Già adesso avviene. Dalla ricostruzione degli inquirenti pare infatti che il ladro ucciso, un 22enne con precedenti, si trovasse sulle scalinate esterne all’abitazione, al contrario di quanto affermato dal pensionato che sosteneva di esserselo trovato di fronte all’interno della stessa. Non si indaga più dunque per eccesso di legittima difesa, ma omicidio volontario, con la tesi che prima di compiere un gesto tanto estremo si sarebbe dovuto “avvertire” il ladro della propria capacità di difesa. Ciò in ottemperanza a quanto stabilisce la legge, per cui solo nell’ipotesi in cui il ladro non fosse fuggito e avesse anzi mostrato la propria pericolosità si sarebbe stati “autorizzati” a reagire. Ma la finezza della legge si scontra con la realtà dei fatti. Francesco ha sostenuto di avere ucciso poiché aveva notato qualcosa nella mano dell’aggressore, poi rivelatasi una torcia.
A prescindere dalla validità della versione, si sarebbe potuto ragionevolmente temere che quell’oggetto fosse un’ arma? Un uomo digiuno di diritto, svegliato nella notte da rumori nell’abitazione, può avere come primo pensiero una reazione a norma di legge? Oppure il panico e la concitazione risultano condizione sufficiente a giustificare l’entità della reazione? Inoltre in quale momento, nel caso si lasciasse subire l’aggressione, si perde il diritto a reagire all’estraneo? Si tratta di affrontare una spaccatura tra teoria giurisprudenziale e realtà del caso concreto: se la versione accreditata fosse quella degli inquirenti, si sarebbe dovuto aspettare che il ladro entrasse in casa per essere legittimati all’azione? Oppure c’è il rischio che a voler applicare il diritto a ogni costo, si finisce per infliggere una sanzione immeritata per non aver mantenuto quella razionalità che la legge imporrebbe?
A cura di Edoardo Angelini