Era la notte tra il 21 e il 22 luglio del 2001. Si era appena chiuso il G8, gli uomini più potenti del mondo, che si erano incontrati a Genova, già ritornavano nei rispettivi Paesi.
Quella notte seguiva giorni di contestazioni e scontri. In una città, che è faticoso non definire territorio di guerra, tra i cinquantamila manifestanti si infiltravano poche centinaia di facinorosi. Gli undici mila uomini delle forze dell’ordine tra polizia, carabinieri, finanza e forestale, mal coordinati e inadeguatamente esperti, si sforzavano goffamente di arginarli, facendo fatica a distinguere le diverse anime della contestazione. Il completo fallimento di ogni operazione di mantenimento dell’ordine pubblico si concludeva con migliaia di feriti e un morto. La vittima, appena ventitreenne, moriva per mano di un carabiniere due anni più giovane.
Alla ricerca dei responsabili degli scontri, o forse di una giustificazione per una serie di condotte inopportune, circa 300 poliziotti circondavano il complesso scolastico Diaz, allestito per accogliere i manifestanti giunti in quei giorni a Genova. Privi del mandato di un magistrato, gli agenti in assetto antisommossa facevano irruzione nell’edificio e cominciavano a picchiare in malo modo chiunque vi si trovasseall’interno. Folle e cieca, la violenza si abbatteva indiscriminata su tutti, non risparmiando la carneficina a giovani donne o anziani manifestanti. Un membro delle forze dell’ordine, Fournier, testimoniava in aula di aver assistito ad una “macelleria messicana”. Alla fine del pestaggio ventotto persone venivano ricoverate, alcuni uscivano in barella dall’edificio. Tutti gli altri arrestati. Molti di loro furono portati presso la caserma di Bolzaneto dove, torturati e umiliati, erano ancora vittime ingiustificate di atroci violenze.
Il 7/04, a quasi quattordici anni di distanza da quella che è stata definita “la più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”, la Corte di Strasburgo, in seguito al ricorso presentato da una delle vittime, sottolinea “l’assenza di ogni nesso di causalità tra la condotta dell’uomo e la violenza della polizia” e sentenzia che i maltrattamenti siano stati “inflitti in maniera totalmente gratuita” e pertanto qualificabili come “tortura”.
Quella notte rappresenta per lo Stato Italiano e per noi cittadini una cicatrice indelebile. Urla, sputi, insulti e sangue l’hanno impressa su una delle pagine più sporche della storia della nostra Repubblica. La sentenza di Strasburgo sottolinea, “finalmente”, la gravità dei crimini accertati e si auspica che contribuisca a indignarci abbastanza da non insabbiare tali comportamenti nell’alveo dell’impunità, mai più.