Giacomo Leopardi, avendo avuto sin dall’infanzia un rapporto complicato con i genitori austeri e poco affettuosi, a ventiquattro anni lascia l’isolato borgo marchigiano di Recanati per trasferirsi a Firenze, dove realizza il suo desiderio di vivere l’ambiente culturale dei salotti adorni di letterati del tempo. Alcune vicende della propria vita lo portano a trasferirsi dapprima nella capitale e poi a Napoli, ed infine a causa dello scoppio del colera, nella “Villa delle Ginestre” ai piedi del Vesuvio. La prima parte del film è incentrata sull’infanzia e sulla giovinezza del poeta che, per la prima volta, viene descritta come realistica, tangibile e dimostrativa di come la malinconia di Leopardi non fosse immotivata bensì indissolubilmente legata ai vari trascorsi della sua vita, dedito alla impaziente ricerca di una felicità continuamente negatagli. La contestualizzazione della sua disperazione ci fornisce una chiave di lettura per sfatare il mito di un animo oppresso dal pessimismo cosmico, prigioniero di un corpo debole e malato, sempre etichettato come una persona irrimediabilmente triste e disillusa. In questo il regista si contraddistingue, filtrando, quasi con affetto, la realtà di Leopardi attraverso i suoi occhi e le sue opere, ed accantonando per un momento i soliti cliché: lo fa saltare fuori dai libri proiettandolo in una dimensione umana e reale affine a quella di chiunque altro. Ad aiutarlo in questo intento, oltre ad un’accurata fotografia, la sorprendente quanto mai “felice” scelta della colonna sonora, attraverso una perfetta combinazione tra musica classica ed elettronica di Apparat, che rende il poeta coetaneo della nostra epoca. Inoltre il regista mette in luce due figure che hanno inciso in modo vitale sull’esistenza di Leopardi, l’amico Giordani e l’indispensabile Ranieri. Giordani che lo invoglierà al tentativo fallito di fuga e alla scoperta del moderno e rivoluzionario dibattito italiano e l’affezionatissimo Ranieri, forse l’unico in grado di amare davvero i suoi versi e di comprendere cosa questi significhino nel profondo dell’anima del poeta: la solitudine di un uomo intrappolato in un’epoca che gli è avversa in tutte le sue angolazioni, un distacco ed una auto-alienazione che gli rende impossibile superare ansie ed inquietudini generate dall’avversità della natura, dalla superficialità e chiusura mentale degli uomini del suo tempo. Considerevole l’interpretazione di Elio Germano, quasi trasformista nello spaziare dall’indifeso Leopardi nella casa paterna, alle urla sofferenti nella solitudine della campagna. Nuova dimostrazione che il buon cinema è ancora vivo in Italia, “Il giovane favoloso” è un film da vedere per chi verrà stuzzicato dalla curiosità di sapere chi sia stato Giacomo Leopardi, e per chi, avendolo studiato sui banchi di scuola, ha l’occasione di riscoprirlo andando oltre i reiterati stereotipi, puntando l’attenzione sulla sfera umana e su quella latente voglia di vivere espressa ermeticamente nelle sue drammatiche e tenere poesie.
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