Recensione del libro “La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo”

Recensione del libro “La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo”

“Chi sono io?”, una di quelle domande alle quali non ci sono persone che possono aiutarti a rispondere. Siamo persi, soli e indifesi di fronte a questo grande interrogativo. Solo noi possiamo conoscere la risposta, se e quando arriverà. Nonostante il vuoto, abbiamo poche certezze, il qui e l’adesso, il presente che ci scorre sulla pelle, lasciando ustioni o brividi di felicità.

Quest’unica certezza non è condivisa da Henry DeTamble, il protagonista del romanzo “La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo” (scritto da Audrey Niffenegger),  il quale non possiede neanche la stabilità del tempo. Soggetto a una malattia genetica, Henry è continuamente risucchiato dal presente,  per viaggiare nel passato, a volte nel futuro, solo, senza abiti e costretto a qualsiasi tipo di reato pur di sopravvivere. Viene definita come una forza gravitazionale, i grandi eventi della sua vita lo attirano, infrangendo i varchi spazio-temporali. E così che viene trascinato nel passato, nell’evento che ha dato il via al tutto , cioè l’incidente in macchina e la morte della madre, cantante lirica e profonda seguace del “vivere felici giorno per giorno”. Cosa si può provare quando il tuo corpo non ti permette di superare il lutto e ti sottopone a quella scena continuamente, senza possibilità di cambiare il futuro? A guidare il tutto è il libero arbitrio nel presente e non la conoscenza che Henry ha dell’evento.

Questo trascina Henry nel vortice dell’alcool e delle donne, cercando di sopravvivere come il primo uomo di una nuova specie. Un giorno tuttavia il futuro di lui viene abbracciato dal passato di lei, Clare Abshire, un’artista che aspettava Henry da una vita, la sua anima gemella, l’uomo che scompare. E così ci immergiamo sempre di più nei ricordi di Clare e nello stupore di Henry. Lui la conosce a 27 anni quando lei ne ha 20 e successivamente, viaggiando nel passato, la incontrerà nelle varie fasi della sua vita, dai 6 ai 18 anni. Ed è quello il vero tempo di Henry, è Clare. Tuttavia lui continua a scomparire all’improvviso, lasciando dietro di sé solo dei vestiti ancora caldi per la sua pelle e Clare l’aspetta, come ha sempre fatto dal loro primo incontro. Come possiamo definire meglio l’amore se non l’attesa di ricongiungerci a chi desideriamo? Clare aspetta ed Henry scompare, lei si arrabbia e lui si sente impotente, lei lo ama e lui si odia, lei non può sottrarsi e lui è condannato.

Audrey Niffenegger ci porta al di là del tempo e ci mostra quanto possiamo apprezzare l’hic et nunc. Nonostante la lontananza, nonostante la rabbia, le sventure e gli errori, possiamo sempre avere la certezza che il nostro amore ci trovi e resti con noi, in un modo o nell’altro. Tralasciando la storia che ti tiene aggrovigliato a sé per tutte le 503 pagine, c’è da apprezzare anche la semplicità della scrittura.  E’ un romanzo che parla direttamente alla parte più emotiva che possediamo, ci fa piangere e ridere, proviamo paura e rabbia, abbandono e felicità, desolazione e sventura, come se fossimo noi i “cronoalterati”. Viaggiamo con Henry in tutte le sue disavventure, conosciamo Clare da piccola e come lui l’abbia accompagnata nella crescita, come professore a 6 anni, amico a 14 anni, amore a 18. Una scrittura così fluida che si ha quasi paura di girare l’ultima pagina. E col fiato corto cresciamo con la loro storia e speriamo in un lieto fine, ben coscienti però che da qualche parte in questo mondo ci sono una piccola Clare e un Henry adulto che giocano a scacchi e ,contemporaneamente, due ragazzi giovani che si scoprono a vicenda e si amano, oltre il tempo, oltre tutto.

«Ma lei non pensa» insisto io «che sia meglio essere estremamente felici per poco tempo, anche se quella felicità va perduta, che tirare avanti infelicemente tutta la vita

 

A cura di Claudia Lavanga

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