REFERENDUM, ELEZIONI REGIONALI. ORA CHE SUCCEDE?

REFERENDUM, ELEZIONI REGIONALI. ORA CHE SUCCEDE?

Il Referendum:

Il Fronte del Si consegue una vittoria schiacciante, incassando il 69% dei voti: approvata la riforma costituzionale che modifica gli articoli 56, 57, 59, e riduce il numero dei parlamentari, tagliando 345 scranni.

Le elezioni regionali:

La Toscana, roccaforte rossa, resiste all’assalto della destra, con la vittoria di Giani. In Puglia, la regione più in bilico, Emiliano sorpassa Fitto e ottiene un secondo mandato. La destra invece conquista le Marche: Acquaroli, in quota Fratelli d’Italia, si impone su Mangialardi. Anche in Liguria il candidato filogovernativo, Ferruccio Sansa, viene nettamente sconfitto da Giovanni Toti, che strappa il bis. Riconferma plebiscitaria per Zaia e De Luca.

La segreteria di Nicola Zingaretti:

Il risultato della consultazione referendaria, piuttosto scontato, blinda l’esecutivo, mentre l’esito della competizione elettorale, meno prevedibile, rafforza la segreteria di Nicola Zingaretti. Un’accozzaglia di partiti che a fatica raggiunge il 5%, il polo costituito da Italia Viva, Azione e +Europa, avrebbe voluto sabotare l’attuale segretario, reo di aver costruito un’alleanza strutturale con il M5S, e sostituirlo con Stefano Bonaccini. L’insuccesso e la sconfitta, piuttosto umiliante, di Scalfarotto in Puglia, ha dimostrato che questa coalizione non è indipendente dal Partito Democratico, e probabilmente non lo sarà mai. Il pareggio ottenuto, al netto delle previsioni (apocalittiche per il centrosinistra), e delle precedenti competizioni elettorali, tutte tradotte in cocenti sconfitte, non può che essere considerato una vittoria per l’attuale segretario del Partito Democratico.

Il Governo:

Conte ottiene l’ennesimo successo politico: la gestione dell’emergenza sanitaria, giudicata positivamente dalla maggioranza degli italiani, e la vittoria conseguita in Europa con il Recovery Fund l’hanno reso il leader più apprezzato del Paese. La vittoria del No e il ribaltone della destra alle elezioni regionali avrebbero condannato la maggioranza; evitato l’ultimo ostacolo, il governo resta in piedi, e Conte al comando. Ora è tutta in discesa

Il Movimento5Stelle:

Mentre Zingaretti rinsalda la propria leadership, e il Presidente del Consiglio gode di ottima salute politica, il M5S è allo sbaraglio, in preda ad una violenta guerra interna fra bande: le tensioni sorte fra Barbara Lezzi e il gruppo dirigente, fra Beppe Grillo e Alessandro Di Battista, fra Antonella Laricchia e l’ala filogovernativa (ovviamente maggioritaria), lacerano e soffocano un partito che non ha più punti di riferimento. Durante la campagna elettorale Di Maio ha preferito concentrarsi, a livello propagandistico, sul referendum costituzionale, senza focalizzarsi sulla competizione elettorale nelle regioni chiamate al voto. La batosta, poi effettivamente subita dal M5S, era piuttosto prevedibile, e il titolare della Farnesina ha voluto evitarne le conseguenze.

La legge elettorale:

Il prossimo punto sull’agenda del governo, sopravvissuto alla prova del voto, è il varo della legge elettorale, battezzata Germanicum: formula proporzionale, soglia di sbarramento al 5% e abolizione del sistema delle liste bloccate. Restituire ai cittadini la possibilità e il diritto di esprimere le preferenze, nei colleggi plurinominali, dovrebbe essere la priorità dell’esecutivo guidato da Giuseppe Conte. E scardinare il sistema delle liste bloccate significa minare le fondamenta della partitocrazia, e sottrarre alle segreterie di partito un’importante prerogativa: compilare e stilare le liste, stabilendo la posizione dei candidati. Finche non si proseguirà in questa direzione avere una camera di 200 membri o un’assemblea pletorica non farà alcuna differenza.

A cura di Michelangelo Mecchia

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