Santiago Maldonado: un desaparecido en democracia

Santiago Maldonado: un desaparecido en democracia

Quasi tredici ore di volo ed un intero oceano separano l’Italia dall’Argentina: un Paese incredibile, tormentato da una crisi economica che non lascia scampo per chi non è abbastanza forte da potersi difendere da solo ma con tante persone disposte a lottare contro le ingiustizie ed i soprusi. Sarà forse perché questo popolo, di soprusi, ne ha visti parecchi fra cui la dittatura militare che ha soffocato la nazione dal 1976 al 1983, considerata come uno dei regimi più brutali della storia dell’America Latina e del Novecento.

La difficile uscita dal regime, la crisi devastante del 2001, il kirchnerismo di Nestor e Cristina e la svolta neoliberale di Macri hanno lasciato un Paese che continua ad interrogarsi sul proprio passato e che vede i suoi pesanti strascichi nel presente: il rapporto complesso con la polizia, il clima creato dai mezzi di informazione che presentano una concentrazione capace di limitarne l’indipendenza – rendendoli più simili ad un’arma politica – e la grande diseguaglianza economica sono solo alcuni dei lasciti con cui l’Argentina deve fare i conti all’interno della sua democrazia così giovane e fragile.

Proprio di fragilità, personalmente, parlerei per descrivere la storia di Santiago Maldonado, che sembra aver assunto a suo malgrado il ruolo di simbolo di queste contraddizioni. Tutto comincia la notte del 1 agosto di quest’anno: Santiago Maldonado, 28 anni, sparisce nel nulla della provincia di Chubut. Nessuno sa cosa sia capitato al ragazzo, ma dei testimoni parlano di alcuni membri della Gendarmeria argentina che, dopo aver inseguito e sopraffatto fisicamente Maldonado, lo avrebbero caricato su una camionetta la cui destinazione rimane tutt’ora sconosciuta. Questo episodio di violenza, stando ai racconti di chi ha assistito alla scena, è l’ultima volta che Santiago Maldonado è stato visto vivo.

La vicenda di Maldonado, che riapre antiche ferite da cui l’intero Paese sta ancora attendendo di poter guarire, assume tutto un nuovo, macabro significato se si pensa al motivo per cui il giovane si trovava lì, dove sarebbe stato preso. Nella provincia di Chubut, a 80 km dalla città di Esquel lungo la statale 40, vive e lotta la comunità Mapuche: si tratta di una comunità originaria del Cile centrale e meridionale e del sud dell’Argentina, organizzato secondo tradizioni amerinde e dunque membro di quella galassia di popoli indigeni che il processo di conquista non è ancora stato capace di cancellare. Tuttavia, le minacce nei confronti della comunità non sono terminate con la colonizzazione: la grande sfida odierna è sopravvivere al vorace saccheggio operato da grandi società – fra cui Benetton – per comprare la loro terra e adoperarla a fini economici, senza fermarsi neppure di fronte alla sacralità che alcuni luoghi rivestono per la cultura dei Mapuche.

Le minacce contro la sopravvivenza della comunità hanno spinto i Mapuche a riunirsi all’interno dell’Organizzazione delle Nazioni e dei Popoli non rappresentati, per ottenere quel riconoscimento e quella protezione che non sentono di ricevere dallo Stato nazionale ma che, al contrario, è detto attuare spesso arresti arbitrari e altre forme di discriminazione. Il rapporto fra le comunità indigene e le istituzioni continua a rappresentare una rischiosa terra di nessuno, in cui le ragioni dei gruppi nativi si scontrano con la brutalità dei mezzi adottati da alcuni rappresentanti del potere esecutivo. In questa terra di nessuno camminava, come uno straniero venuto da lontano, Santiago Maldonado: non era un Mapuche, ma sosteneva fortemente la lotta intrapresa da quel popolo e si identificava nella loro storia di lotta per il riconoscimento dei propri diritti, forse perché quello stesso spirito combattivo è una caratteristica comune in moltissimi argentini poco disposti a chinare il capo di fronte al padrone. Come chiunque si impegna a cercare la verità, però, anche Santiago correva dei rischi, che in questo caso si sono rivelati fatali.

La sua storia, tuttavia, non è rimasta soffocata nell’oblio: l’11 agosto, a Plaza de Mayo, di fronte alla Casa Rosada – dove risiede il Presidente della Repubblica argentina -, organizzazioni per i diritti umani come Abuelas de Plaza de Mayo, Madres Línea Fundadora, Hijos, il Centro de Estudios Legales y Sociales hanno organizzato una manifestazione per le ore 17, a cui ho avuto l’onore di prendere parte personalmente. Le bandiere di partito, spuntate come funghi nei primi minuti, sono state lentamente sostituite dalla foto in bianco e nero del giovane desaparecido, termine con cui sono divenuti tristemente famosi coloro che, sotto la dittatura militare degli anni 70, venivano fatti sparire nel nulla dalla polizia, senza che nessuno sapesse quale triste destino fosse loro toccato.

“Apariciòn con vida”, chiedono con forza i familiari di Santiago. Nonostante le quasi tredici ore di volo e nonostante l’immensità dell’oceano, anche qui in Italia siamo pronti a chiedere lo stesso.

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