Prima di scrivere un pezzo penso sempre alle parole giuste per iniziare. Non so mai dove andrò a finire, ma porto sempre con me il motto del “chi ben comincia è a metà dell’opera.” Ma stavolta sento che non c’è un modo giusto per cominciare dopo l’ennesima mancanza di rispetto nei confronti di un pilastro della Giustizia italiana come Paolo Borsellino. Questa volta ad essere colpita è sua figlia Lucia, 46 anni, una laurea in Farmacia e da sempre all’interno dell’assessorato alla Sanità della Regione Sicilia. Questo fino al 2 Luglio scorso, quando l’arresto di Matteo Tutino l’ha portata alle dimissioni in seguito a quello, da lei considerato, l’ennesimo tentativo (ben riuscito) di infangamento ai danni dell’immagine della regione sicula.
Parliamo di Matteo Tutino, primario dell’ospedale villa Sofia di Palermo, nonché medico personale di Rosario Crocetta, con tanto di accuse pendenti di falso, abuso d’ufficio, truffa e peculato, oggi agli arresti domiciliari a cui bisogna aggiungere una serie di intrecci tra incarichi pubblici e affari privati della peggior specie, tanto da non bastare un’amicizia comoda come quella del governatore della regione in cui si lavora. Nella telefonata incriminatrice, risalente al 2013, il dott. Tutino avrebbe pronunciato le seguenti parole: “ Va fermata, va fatta fuori. Come suo padre.” Ora, qualcuno potrebbe pensare che la parte più pesante di questa storia è questa frase di pessimo gusto. E per carità, Dio solo sa quanto queste parole pesino come un macigno su un Paese, come il nostro, dove il rispetto non è di casa, ma il silenzio del governatore come risposta a quelle parole pronunciate pesa più di tutto. Pesa quando già sai di vivere in un’Italia omertosa, dove la mafia è a piede libero e dove chi ha cercato di combatterla è morto nel peggiore dei modi. Crocetta si è difeso, in quello che a mio parere è il modo peggiore, ossia negando di aver sentito quella frase. E nessuno aveva dubbi su questo, perché di tante frasi che il governatore avrebbe potuto non sentire ha scelto proprio quella giusta.
Ovviamente tutti i partiti, dal PD all’opposizione hanno chiesto le dimissioni del governatore Crocetta che si è autosospeso dall’incarico non formalmente e quindi, nei fatti, siede ancora senza paura sul suo trono. Ha dichiarato apertamente di non avere alcuna intenzione di dimettersi, autodefinendosi un “combattente” e di agire così col solo scopo di non darla vinta ai poteri forti. C’è chi ha ipotizzato che questa sia la scusa giusta, al momento giusto aggiungo, per Renzi e tutto il Pd per liberarsi di un soggetto non propriamente gradito, ma questo non ci è dato saperlo. Ovviamente Crocetta ha colto la palla al balzo per definire il suo caso come un vero e proprio golpe, della serie “se mi sfiduciate porrete fine al primo governo anti-mafia siciliano”. E chi è che si prenderebbe un richio del genere. Quello che è certo è che il beneamato governatore ha dato la colpa di tutta questa storia alle teorie complottiste, non mancando di recapitare al mittente le sue lamentele (ca va sans dire), non solo asserendo di non voler morire come “un pezzo di merda”, ma addirittura sottolineando il fatto di come lui fosse stato sempre vicino a Lucia Borsellino come amico e soprattutto come governatore della Regione Sicilia nei momenti più duri, quando poteri forti avrebbero voluto far saltare la donna in seguito al caso della piccola Nicole, la neonata morta a Catania, a sole tre ore dal parto nel Febbraio del 2015.
Nuovamente nel marzo 2014, abbiamo l’ulteriore prova di come i rapporti tra Tutino e la Borsellino fossero effettivamente tesi. In seguito alla notifica di avvisi di garanzia allo stesso Tutino e al commissario straordinario dell’ospedale Villa Sofia di Palermo Giacomo Samperi, alcune intercettazioni telefoniche tra i due rivelano quanto conflittuale fosse il loro rapporto con l’allora assessore regionale alla Salute, Lucia Borsellino. Samperi, il cui mandato era stato revocato dalla Borsellino stessa, parla con Tutino, manifestando la sua intenzione di voler fare un esposto contro l’assessore: “La denuncio per illecito (…) Me ne sto fottendo, pure che si chiama Lucia Borsellino” e Tutino risponde: “Bravo”. Nonostante il vittimismo del dott. Crocetta, il vero bersaglio di tutta questa storia è il settimanale “L’Espresso” che prima di tutti si è assunto la responsabilità di pubblicare una parte di questa intercettazione, venendo attaccato dalla Procura, in particolare dal Procuratore Li Voi che ha risposto al settimanale facendo notare come la telefonata non fosse trascritta negli atti depositati. Ed è ancora “l’Espresso” a chiarire come sia vero che la telefonata non faccia parte degli atti depositati, ma piuttosto di un’inchiesta collegata alle indagini svolte sulla clinica Villa Sofia di Palermo. Il Procuratore Li Voi risponde nuovamente alle accuse asserendo che la telefonata non è agli atti di alcun procedimento.
Nonostante la surrealità della situazione, continuo a dire che non può parlarsi di Paese con la P maiuscola e di civiltà, fino a quando non si ha il coraggio di assumersi le proprie responsabilità su quanto detto o fatto. “L’Espresso” continua a confermare quanto sentito, Crocetta a rispondere alle accuse affermando che quella frase non l’ha sentita perché probabilmente si trovava in una zona d’ombra o galleria ed è Lucia Borsellino a fare le spese ancora una volta di un cognome troppo oneroso in questa nazione. Se, effettivamente, queste intercettazioni fossero confermate e portate alla luce mi chiedo come possano due soggetti come Tutino e Crocetta continuare a guardarsi allo specchio: il primo per una frase di troppo che definire deprecabile non basterebbe e l’altro perché complice allo stesso modo con il suo silenzio. Vorrei concludere con delle parole di Paolo Borsellino che mai come in questo caso mi sono sembrate pertinenti: “Mi uccideranno ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri.” Scusaci Paolo se a volte non siamo degni del lavoro che hai fatto per rendere, il nostro, un Paese che si rispetti. Scusaci davvero.