“Dear Minister,
thank you for the submission of Italy’s draft budgetary plan (DBP) for 2017, which we received on 18 October (…)”
Così inizia la lettera firmata dal commissario europeo Pierre Moscovici finita lo scorso 26 Ottobre sulla scrivania del nostro ministro dell’economia Piercarlo Padoan.
Le formalità dell’incipit non tradiscono il contenuto effettivo della lettera che in buona sostanza diffida l’Italia dall’attuare politiche che la porterebbero a spendere più di quanto i parametri europei permettono.
La questione è annosa e fin troppo tecnica per parlarne sulle pagine di una rivista non specializzata ma proveremo con tutte le premure del caso a tracciarne i caratteri fondamentali.
Firmando alcuni accordi come il Patto di Stabilità e di Crescita del 1997 ci siamo impegnati in quanto membri dell’unione europea a limitare la nostra spesa pubblica a determinate condizioni (una su tutte la limitazione della spesa in deficit al 3 per cento del prodotto interno lordo) e ogni qual volta per necessità interna abbiamo bisogno di spendere di più dobbiamo chiedere alle istituzioni europee e in particolare alla commissione europea, una sorta di “permesso”. La commissione valutando volta per volta la situazione economica del paese decide se concederci o meno questo permesso e sopratutto decide a quali condizioni concederlo. Questo “permesso” ci era stato concesso per il 2016 ma a parere della commissione le condizioni richieste non sono state soddisfatte e dunque sembra intenzionata a non rinnovare la concessione per l’anno a venire.
Sin qui nulla di eccezionale, rientra nel sottile gioco delle parti che anima le vicende europee e annualmente ci fornisce argomenti di cui discutere. Ciò che però fa specie è la risposta dell’Italia che per bocca del governo sembra non accettare questa volta il parere della commissione e la sfida sino ad arrivare a minacciare di mettere il veto sul bilancio dell’Unione Europea del 2017.
A questo punto è bene chiedersi perché un governo che aveva sempre mantenuto toni quanto meno più moderati in materia di unione europea decide all’improvviso di alzare la voce e di usare il pugno duro.
La coincidenza tra approvazione della legge di bilancio e campagna referendaria non può che suggerirci che l’atteggiamento del governo rientri in un preciso schema politico: schierarsi contro l’europa per aumentare il consenso.
Questo schema ricorre ormai frequentemente nelle dinamiche interne di ogni paese membro dell’unione e puntualmente quando si presenta all’orizzonte una consultazione popolare chi non si sente sicuro del proprio elettorato decide di fare qualche dichiarazione pubblica poco amichevole sui “burocrati di bruxelles”.
Oramai si sta anche assottigliando la linea di demarcazione tra coloro che si definiscono europeisti e coloro che si definiscono anti europeisti, tra i due schieramenti si ravvisa infatti una zona grigia in cui tutti sostano per qualche mese quando si ha bisogno di voti.
Lo spettro delle vicende inglesi tuttavia deve far riflettere su quanto pericoloso sia demonizzare agli occhi dell’elettorato la comunità europea e quante precauzioni siano necessarie per evitare che i partiti populisti, che ad oggi sembrano essere i principali attori del panorama politico, prendano il sopravvento.
A cura di Stefano Castellana Soldano