Spese militari, Italia verso il 2% del Pil: ma è una decisione condivisa?

Spese militari, Italia verso il 2% del Pil: ma è una decisione condivisa?

Con l’invasione russa dell’Ucraina la questione delle spese militari è tornata al centro del dibattito politico di molti paesi, tra cui l’Italia.
In realtà però, a parte alcune eccezioni, l’aumento della spesa militare è un trend che viene da più lontano, ed è stato solo accentuato ed accelerato dagli avvenimenti in Ucraina.
“Quella che viene chiamata ‘corsa alle armi’ era già in moto, oggi si guarda alla guerra in Ucraina solo per trovare una nuova giustificazione che però non ha consistenza” (Francesco Vignarca, analista e fondatore dell’Osservatorio Mil€x sulle spese militari).
 Il 16 marzo scorso, la Camera dei Deputati ha approvato un ordine del giorno che impegna il nostro Paese ad allinearsi alle indicazioni della Nato, aumentando le spese militari. Ciò implica un incremento degli investimenti nel settore della difesa molto consistente: l’obiettivo è di arrivare a stanziare nel giro dei prossimi sei anni il 2% del nostro Prodotto interno lordo, contro l’attuale 1,5%. 
Da tempo infatti vi era l’intenzione di un aumento della spesa; in particolare, nel 2014 il governo Renzi si era già impegnato ad allinearsi agli obiettivi della NATO entro il 2024. È proprio questo proposito a scuotere la maggioranza del governo Draghi.

Tuttavia, per quella data non sarà possibile raggiungere il livello del 2% in Italia: grazie ad un compromesso tra le forze politiche della maggioranza , realizzato da Draghi per venire incontro alle richieste del leader del M5S Conte, l’innalzamento del PIL passerà al 2028.
La disputa riguardo le spese da destinare alla difesa ha comportato la presa di posizione di partiti politici e figure di spicco, anche se lo scontro, in generale, può essere riassunto come
un braccio di ferro tra Draghi e Conte. Il presidente del Consiglio ritiene che sia necessario rispettare l’impegno internazionale assunto dal nostro paese e conseguentemente attivarsi per un incremento delle spese il prima possibile, in quanto venendo meno a tale impegno si rischia di minare l’equilibrio raggiunto della maggioranza proprio a seguito di quegli accordi risalenti al 2014. In realtà si tratta comunque di accordi non vincolanti, tenendo presente che a norma dell’art. 117 della Costituzione: “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento e dagli obblighi internazionali”. I vincoli che il legislatore deve rispettare sono quelli che derivano dal diritto consuetudinario e quelli derivanti dai trattati. Tuttavia, le dichiarazioni espresse dall’organizzazione atlantica non rientrano nel diritto generale, né rappresentano, di per sé, dei trattati internazionali.
 
La decisione di Draghi è stata subito contestata da Giuseppe Conte, che conferma la posizione del Movimento. (È importante però sottolineare come lui stesso abbia impegnato in passato i suoi governi con la Nato a raggiungere una spesa militare pari al 2% del Pil, e durante il primo periodo della pandemia abbia aumentato i fondi per la difesa: ora sostiene il contrario?)
La scelta di un aumento è stata aspramente criticata dal M5S per ragioni diverse, quali la questione delle pensioni e i tagli all’istruzione. Analizzando i numeri si osserva come, una volta intrapresa questa strada, l’Italia porterebbe la sua attuale spesa militare da 25 miliardi di euro a 38 (ovvero 104 milioni al giorno). Per dare un senso a questa cifra, 38 miliardi è circa la metà di quanto l’Italia spende per l’istruzione, un terzo di quanto spende per la sanità ed è pari a quanto guadagna dall’intera tassazione sulle abitazioni. Insomma, ciò su cui punta chi è ostile all’aumento delle spese è ribadire l’attuale superfluità di tale scelta; bisognerebbe invece destinare questi fondi, così preziosi, a questioni per cui tali somme sono ritenute più urgenti.
 
Come nel M5S, anche nel Pd non mancano repliche ed obiezioni sul tema armi. Tuttavia, sulla questione Enrico Letta, avendo a che fare con un elettorato storicamente pacifista, tiene un basso profilo. Il segretario ha avuto a che fare con aspre contestazioni, come nel caso dei giovani dem lombardi. Il Movimento ha messo in luce come “un simile investimento di 13 miliardi di euro nella transizione ecologica per esempio, ci aiuterebbe ad accelerare l’indipendenza dal gas russo, e di conseguenza a indebolire il potere di ricatto di Putin verso l’Europa, permettendoci di aumentare la pressione nei suoi confronti”.
 
Per quanto riguarda la Lega, le parole del leader Salvini rimarcano gli scetticismi sulla faccenda: «Stiamo uscendo faticosamente da due anni di pandemia e stiamo entrando, ancora più faticosamente, nel secondo mese di un conflitto alle porte dell’Europa e ci sono uomini di Stato e di governo che parlano con troppa facilità di bombe, armi e missili. Addirittura dall’altra parte dell’Oceano c’è chi parla di nucleare». Ciononostante, il partito ha votato l’odg della Camera sull’aumento delle spese militari.
 
Non solo figure politiche si sono espresse sulla questione: Papà Francesco è arrivato a dire che si è “vergognato quando ho letto che un gruppo di Stati si sono compromessi a spendere il 2% del Pil per l’acquisto di armi come risposta a questo che sta accadendo, pazzi!”.

Il pontefice ha osservato come la vecchia logica del potere che domina la geopolitica attuale non vada alimentata tramite altre alleanze politico-militari, adottando un approccio volto a “far vedere i denti”, bensì eliminando l’uso di armi e sanzioni, e mediante una impostazione delle relazioni internazionali improntata sul messaggio del “farsi prossimo”.

Parole scomode, quelle di Bergoglio. La cosa sorprendente è che i più importanti giornali italiani non hanno riportato queste dichiarazioni. Normalmente sui media italiani è maggiore, rispetto all’estero, lo spazio riservato ai gesti, alle parole e persino ai silenzi del Papa.

Stavolta i giornali hanno esaltato la “linea dura” del premier Mario Draghi, a favore di maggiori investimenti nella difesa. Si tratta di un omissione volontaria e consapevole, che evidenzia l’attuale clima politico ed è sintomo di un atteggiamento servile nei confronti del governo da parte dei nostri quotidiani.

Per ricapitolare,  l’Italia manterrà i patti con l’organizzazione atlantica aumentando gradualmente gli investimenti per la Difesa; ci si aspetta di raggiungere l’obiettivo del 2% del Pil nel 2028 e non più nel 2024.
Se ci guardiamo attorno, nel 2021, dei 30 membri aderenti all’organizzazione, soltanto otto hanno speso più del 2% del loro Pil nella difesa: Stati Uniti (3,57%), Grecia (3,59%), Polonia (2,34%), Regno Unito (2,25%), Croazia (2,16%), Estonia (2,16%), Lettonia (2,16%) e Lituania (2,03%). Lo scorso anno la spesa militare ha raggiunto il suo massimo storico, ammontando a  quota 2.113 miliardi di dollari.
Con la decisione del Parlamento, seppure posticipando l’obbiettivo a fronte di una scampata crisi di governo, ci siamo dunque allineati anche noi alle indicazioni della Nato.

A cura di Alessandra Coffa

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