Le elezioni tenutesi poco più di un mese fa ci hanno consegnato un quadro politico a tinte fosche. Certo, non ci si poteva aspettare di assistere alla formazione immediata di un governo, tanto più con la legge elettorale vigente, ma in ogni caso il risultato elettorale ha ulteriormente aggravato l’incertezza. Infatti, i due partiti che più facilmente avrebbero potuto unire le forze, avendo in comune un principio cardine come quello del sostegno all’Unione Europea ed avendo, oltretutto, già in passato governato insieme, sono usciti sconfitti dal confronto elettorale.
Il risultato negativo più vistoso è senz’altro quello del Pd renziano che, con il 19% dei consensi, ha toccato un minimo storico. La leadership democratica è stata definitivamente bocciata dall’elettorato che, con questo risultato, sembra chiedere un cambio di passo radicale in termini di orientamento politico e non solo. Un primo passo in questo senso sono state le dimissioni di Matteo Renzi dalla Segreteria, ma la sua influenza sulle scelte politiche del Pd resta, oggettivamente, molto forte. Non sarà facile né immediato colmare il vuoto lasciato da un leader che, nel bene e nel male, ha rappresentato un punto di riferimento per il centro-sinistra.
Ad oggi tutto questo si traduce nella scelta portata avanti dal Segretario Reggente Martina, ma a forte impronta renziana, di interpretare il risultato elettorale come un mandato a ricostruire partendo dall’opposizione, una scelta che è caratterizzata da opportunismo politico ma priva di senso di responsabilità.
Meno rocambolante e più prevedibile è stata invece la sconfitta di FI e di Silvio Berlusconi che si è visto sorpassare dalla Lega perdendo così la possibilità di guidare la coalizione di centro-destra. Il Cavaliere ha sofferto la maggiore incisività di Salvini in campagna elettorale e, soprattutto, la maggiore carica anti-sistemica che caratterizza la leadership del Carroccio.
Nonostante ciò, Forza Italia dispone ancora di una certa leva politica nel contesto delle trattative per la formazione di un governo. Salvini infatti non può prescindere dal partito del Cavaliere per costruire un’alleanza con il M5S da una posizione di relativa forza. Tuttavia, dal canto suo Berlusconi non sembra vedere di buon occhio il coinvolgimento dei grillini nell’alleanza di governo, forse intimorito dal rischio di instabilità che un governo a forte presenza pentastellata potrebbe portare sui mercati finanziari e quindi sulle aziende di famiglia del Cavaliere.
Se i partiti tradizionalmente “pro Europa” sono usciti sconfitti, il fronte “populista” è stato il grande vincitore di queste elezioni. Da un lato Matteo Salvini ha completato il percorso di rilancio della sua Lega portandola ad ottenere la leadership del centro-destra sorpassando l’alleato Berlusconi. Dall’altro Luigi Di Maio ha preso in mano le redini del M5S, ha magistralmente condotto una campagna elettorale nella quale ha parzialmente eliminato l’aura d’inaffidabilità che circondava la galassia pentastellata senza però eroderne l’ispirazione movimentista, e lo ha portato a diventare il primo partito d’Italia.
Ora però la strada verso la maggioranza si presenta molto ripida. Finora il candidato premier pentastellato ha instaurato una fragile sintonia solamente con l’altro vincitore delle elezioni, Matteo Salvini, mentre ha posto veti sui leader Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, restando però aperto alla possibilità di coinvolgere i rispettivi partiti nelle trattative. Questa posizione sembra sottendere una strategia ambivalente: da un lato un’apertura verso un centro-destra de-berlusconizzato nella speranza che FI sia disposta ad emarginare il suo leader storico, dall’altra la stessa disponibilità verso il Pd, scommettendo allo stesso modo nella nascita di un nuovo corso post-renziano.
Il Quirinale dal canto suo, passato il primo giro di consultazioni, invita i partiti ad esercitare responsabilità politica. Mattarella infatti pare consideri impraticabile la via di un ritorno alle urne, ipotesi spesso ventilata dai partiti come arma estrema di negoziazione, e ha lasciato intendere che sarebbe necessaria la presenza di un governo in carica al consiglio europeo di giugno, nel quale saranno discussi dossier estremamente importanti per il futuro dell’UE.
Insomma, nonostante i presidenti di Camera e Senato siano stati eletti sulla base di un accordo tra cinquestelle e centro-destra, i contorni di un’alleanza di governo restano ancora molto sfocati. Al netto delle attuali posizioni delle parti in gioco, il M5S si è candidato, forte del suo risultato elettorale, a perno indiscusso attorno al quale il futuro governo avrà luce. Questa è una prospettiva auspicabile per il corretto funzionamento della nostra democrazia, ma tuttavia l’ipotesi di un governo costruito intorno ad un’alleanza tra Pd e centro-destra non può essere esclusa a priori. Sarà compito del M5S trovare il giusto compromesso voltandosi a destra o a sinistra per evitare di essere ancora una volta relegato all’opposizione.
Naturalmente è passato appena un mese e, se una leadership come quella di Angela Merkel si è vista costretta a condurre 6 mesi di faticosi negoziati prima di formare un governo, è decisamente presto per preoccuparsi. Sicuramente, è necessario che tutte le parti in gioco facciano un bagno di umiltà e responsabilità. È fondamentale, per tutti, rammentare costantemente che le scorse elezioni non hanno consegnato veri vincitori ma solo la necessità di formare alleanze, e che l’Italia ha bisogno di un governo che la rappresenti sui palcoscenici internazionali e che prosegua il processo di riforme necessario a stimolare ulteriore crescita.
A cura di Gianluca Armeli