“TTIP: pro e contro di uno storico accordo di libero scambio”

“TTIP: pro e contro di uno storico accordo di libero scambio”

Quello del TTIP è forse uno tra i temi più delicati di questo semestre italiano di presidenza europea, nonostante la generale mancanza di trasparenza ad esso dedicata. Con questo acronimo, stante per Transatlantic Trade and Investment Partnership, si fa riferimento all’accordo commerciale attualmente in corso di negoziato tra l’UE e gli USA, avente l’obiettivo di rimuovere le barriere commerciali e di stimolare una maggiore crescita economica.
Oggi, a più di un anno e mezzo dall’inizio dei negoziati, è ben evidente come tale progetto sia divenuto sempre più utopico e come l’attuale fase di stallo sia ben lontana dall’essere superata. Diverse sono le possibili ragioni di questa situazione: prima fra tutte i molti punti in cui le due parti si trovano ancora in disaccordo, vedi il delicato settore alimentare, il tema dell’apertura del mercato americano degli appalti pubblici e la c.d. Isds, ossia la clausola concernente la risoluzione delle controversie tra investitori stranieri e Stato ospitante.Per quanto riguarda quest’ultimo strumento, per esempio, da un lato, gli USA si proclamano accaniti sostenitori, dall’altro alcuni stati Europei mostrano ancora molte riserve, appellandosi alla possibilità implicita di una riduzione della sovranità nazionale. Ulteriori rallentamenti sono stati poi associati all’insediamento della nuova Commissione Juncker, alle elezioni di midterm negli USA, nonché all’elevata contrarietà di ONG, sindacati e associazioni ambientaliste, secondo i quali la piena liberalizzazione del commercio internazionale porterà esclusivamente benefici a multinazionali e lobby, a discapito invece dei diritti del lavoro, dell’ambiente e della salute.
A voler parlare anche dei pro di questa partnership, è inevitabile non essere ottimisti all’idea della più grande area di libero scambio della storia, in grado di realizzare una sostanziale unità economica del mondo occidentale.Secondo le stime del Cepr, infatti, l’accordo porterebbe ad una crescita annua media del PIL di mezzo punto percentuale e ad un incremento nelle esportazioni e nel reddito medio familiare. La riduzione delle “barriere tariffarie e non tariffarie” ridurrebbe poi numerosi costi fissi per le imprese, ampliando la possibilità di accesso al mercato per quelle attualmente più svantaggiate.E’ chiaro, dunque, come la progressiva integrazione tra le due potenze non possa che essere mutualmente vantaggiosa.
Per quanto non si possa negare la differenza culturale tra le due aree e la criticità di molti capitoli quali, ad esempio, gli OGM e le indicazioni geografiche protette, è altrettanto vero, però, che non bisogna perdere di vista l’importanza e la portata del partenariato nel suo complesso. “Un accordo fondamentale”, così come definito dal nostro premier, per la cui conclusione è necessaria la massima cooperazione, nonché la volontà per entrambe le parti di trovare un comune demominatore per la difesa di valori comuni.

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