Califfi, minareti e tappeti volanti. L’informazione sulla Turchia prevalente in Italia – e in tutto il mondo definito occidentale, del resto – è deformata da stereotipi e pregiudizi di stampo orientalista: viene percepita in buona sostanza come immersa in un eterno passato ottomano, in uno scenario fiabesco da “Mille e una notte” popolato da odalische seducenti e omoni inturbantati armati di scimitarra. Harem, moschee e poco più.
E questo perché negli ultimi 12 anni il potere è stato gestito dal premier Recep Tayyip Erdoğan – diventato da pochi giorni presidente della Repubblica – e dal Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp): un partito conservatore d’ispirazione islamica, che per alcuni aspetti ricorda la nostra Democrazia cristiana. Ecco il punto: d’ispirazione islamica! E allora, invece di concentrarsi sulle grandi riforme che stanno trasformando il paese da autocrazia militarista in democrazia (ancora incompiuta), sul processo di pace con i curdi per mettere fine a 30 anni di sanguinosa guerra civile, sulle iniziative regionaliste in politica estera, sui cambiamenti del sistema economico sempre più dinamico e aperto, sugli esempi di convivenza tra religioni ed etnie, i grandi mezzi di comunicazione preferisco dar spazio a notiziole e fatterelli, abilmente manipolati: così che i lettori e i telespettatori tutto conoscono delle accuse di “islamizzazione” rivolte all’Akp da parte delle opposizioni irriducibili, sostanzialmente niente di tutto il resto. Una demonizzazione in piena regola: basta leggere quotidianamente i dispacci dell’Ansa per rendersi conto del fuorviante ritornello; persino gli scontri tra polizia e manifestanti, lo scorso anno al parco Gezi e a piazza Taksim, hanno meritato ore e ore di diretta ininterrotta: dando l’erronea ed esageratissima idea dell’assalto alla Bastiglia e della rivoluzione imminente, con tanto di giornalisti che facevano il tifo per i facinorosi!
Chi sa che in Turchia operano oggi 1200 imprese italiane? Che a Istanbul hanno vissuto – tra XIX e inizio del XX secolo – decine di migliaia di connazionali, tra cui architetti, ingegneri, medici, cuochi, musicisti, artisti di gran fama, tutti accolti e stipendiati dai tanto vituperati sultani ottomani? Che gli inni nazionali dell’impero sono stati composti da Giuseppe Donizetti fratello di Gaetano e dal parmense Callisto Guatelli? Che persino Giuseppe Garibaldi vi ha soggiornato per lunghi periodi, dal 1828 al 1831? No, i turisti italiani arrivano sempre più numerosi in quella che è stata per un millennio la capitale di un impero romano – ancora ricca di tracce, di monumenti, di chiese appartenenti a quel passato – e cercano invece l’Oriente, la danza del ventre, i quartieri arabi, il deserto, 50° gradi d’estate, le fumerie d’oppio. Tutto vero, tutto documentato sul mio blog Istanbul, Avrupa (Istanbul, Europa), <istanbulavrupa.wordpress.com/> e <www.facebook.com/istanbulavrupa>.
Di Giuseppe Mancini