UN MARZIANO A MILANO

UN MARZIANO A MILANO

Ascoltando l’allenatore dell’ Inter Frank De Boer in conferenza stampa, si ha l’impressione di avere di fronte una sorta di bug di Google Traduttore: pochi scarni termini mal pronunciati in italiano, mescolati a qualche parola spagnola, accompagnati da qualche cenno d’inglese tanto per essere certo di farsi capire da tutti e poi un pizzico di madrelingua olandese, che ogni tanto non puç non scappare. Catapultato nel marasma vertiginoso del calcio italiano ad appena 10 giorni dall’inizio della Serie A e su una delle panchine più calde d’Italia, dopo circa due mesi di lavoro, Frank De Boer sembra essere l’uomo sbagliato nel posto sbagliato. Un marziano a Milano. L’Inter annaspa e l’olandese sembra al momento non avere mezzi a disposizione per invertire la tendenza negativa, che parla di appena 3 vittorie in 10 partite ufficiali tra campionato e coppe, un malinconico undicesimo posto in classifica già a -10 dalla Juve capolista e un inquietante ultimo posto con zero punti in due partite nel gironcino di Europa League.
Eppure Frank sembrava proprio l’uomo giusto per rilanciare la metà nerazzura di Milano: dopo l’addio burrascoso a metà agosto di Mancini, la dirigenza aveva deciso di optare velocemente per una scelta coraggiosa e di chiamare dunque ad Appiano un tecnico giovane, straniero e fautore del bel gioco. De Boer, che negli anni 90 era uno dei migliori difensori della sua generazione, pilastro del Barcellona e della nazionale olandese, non é certo un tecnico sprovveduto. Ha vinto ben quattro campionati olandesi consecutivi con l’Ajax offrendo un calcio spumeggiante e propositivo, lanciando numerosi giovani di talento e incantando il pubblico dell’ Amsterdam Arena: appena due anni fa sembrava destinato ad approdare presto su una panchina di Premier in pompa magna e veniva considerato unanimemente come uno migliori giovani tecnici europei in circolazione. Eppure il calcio é maligno e in un anno tante cose sono cambiate. Il suo giovane e brillante Ajax ha perso smalto e si è visto soffiare clamorosamente e drammaticamente, dopo aver condotto in testa per tutta la stagione, il quinto titolo olandese di fila all’ultima giornata.
Sancita la fine del ciclo e di comune accordo con la dirigenza, aveva deciso di lasciare i lancieri per cercare nuove esperienze: senza panchina fino a metà agosto, l’olandese non ha avuto ovviamente un attimo di ripensamento di fronte alla chiamata improvvisa dell’Inter. Era la tipica offerta che non si puó rifiutare. Squadra prestigiosa, rosa competetiva, dirigenza pronta a spendere, pubblico appassionato e voglioso. L’ ideale per rilanciarsi e fare bene. Dunque De Boer firma il contratto, si precipita a prendere lezioni di italiano e si trasferisce con tutta la famiglia a Milano. Frank e l’Inter sembravano proprio fatti l’uno per l’altro. Era tutto apparecchiato. E allora che cosa sta andando storto? Va premesso che a un allenatore olandese chiamato dal nulla a 10 giorni dalla prima partita di campionato e privato dunque anche della possibilità di ambientarsi con il ritiro estivo nel nuovo mondo italiano è obbligatorio concedere del tempo: è difficile per altro immaginare una filosofia calcistica tanto lontana da quella italiana quanto quella olandese.
Mentre in Italia è ormai radicato da decenni, vuoi o non vuoi, lo storico principio del ‘prima non prenderle’ (inutile negarlo, basta guardare il primo tempo dell’ultima Italia-Spagna), in Olanda patria del calcio totale di Cruyff si è orientati a vincere le partite facendo un gol in più degli avversari e non subendone uno in meno. Dunque se mentre in Italia fin dalle scuole calcio si parla ai bambini di tattica, marcature a uomo, diagonali e fuorigioco, in Olanda l’attenzione si sposta su una componente facile e essenziale. Il gol. A calcio si vince facendo gol e dunque bisogna saper prima attaccare e poi magari difendere. Ecco perchè per superare questa discrasia culturale di fondo è necessario dare del tempo a De Boer prima di vedere la sua vera idea di gioco che aveva conquistato tutti in Olanda. Anche perchè per ora l’Inter non ha ancora proprio nulla di olandese e sembra piuttosto una squadra vuota e lasciata al proprio destino, ancora piena delle scorie negative del Mancini bis: idee poche e confuse, squadra titolare che cambia ogni partita, difesa che si lascia penetrare con troppa facilità, centrocampo privo di un uomo d’ordine davanti la difesa che sappia far girare la palla e attacco sulle spalle del solo Maurito Icardi, capitano della squadra e attaccante di qualità assoluta. Proprio Icardi peró sembra ora essere una bella spina per De Boer e la società. Dopo la pubblicazione della sua controversa autobiografia, gli ultrà interisti si sono infurati per delle dichiarazioni del numero 9 argentino chiedendo che venisse privato immediatamente della fascia da capitano. Icardi nel libro parla di un episodio risalente a due anni fa in un tempestoso postpartita di un Sassuolo-Inter, in cui dice di aver visto un ultrà togliere prepotentemente di mano ad un bambino, la maglietta sudata che lo stesso Icardi gli aveva consegnato come regalo pochi istanti prima, mandando allora su tutte le furie l’argentino.
Tra scuse, rettifiche e minacce sotto casa la vicenda ha portato alla decisione della dirigenza di non accontentare gli ultra e di lasciare la fascia di capitano ad Icardi, con la promessa però da parte dell’argentino di modificare le pagine in questione della biografia. Tralasciando il delicato discorso sul peso specifico degli ultra nel calcio moderno, la vicenda rischia piuttosto di avere soltanto conseguenze negative per l’Inter, di destabilizzare lo spogliatoio e di privare De Boer della serenità della sua migliore arma a disposizione, che ha giocato domenica in casa tra i fischi della propria curva. Il rigore sbagliato malamente dallo stesso Icardi contro il Cagliari sembra essere un simbolo del momento nero dell’Inter e del suo numero 9.
Come uscire dunque da questa situazione? Bisogna solo aspettare De Boer o è comunque sbagliato negare i suoi errori? Questo lo può dire solo il tempo, la stagione è ancora molto lunga e può infatti regalare molte soddisfazioni all’Inter e ai suoi tifosi che hanno ancora negli occhi l’unica gioia stagionale, lo scintillante 2-1 alla Juve capolista che sembrava il preludio ad una stagione di progressi continui, in linea con gli investimenti della dirigenza. In realtà quella partita è rimasta un lampo nel buio. L’ Inter ha mostrato tutto il suo potenziale, mettendo in campo grinta e cattiveria, evidenziando tutti i mezzi a disposizione della rosa, in grado di battere chiunque in Serie A. Ora però sta a De Boer dimostrare che la sua Inter è la squadra assatanata e affamata vista in quella domenica pomeriggio a San Siro contro i campioni d’Italia e non la squadra molle e priva di personalità che raccoglie due punti in casa tra Palermo, Bologna e Cagliari. Coraggio Frank, il tempo è dalla tua parte, ma non si può più sprecare.
A cura di Matteo Orlandi

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