Era Maggio quando non avevo ancora programmi per l’estate e sentivo il bisogno di impegnare seriamente almeno una piccola parte di quei mesi. Appena vidi il bando per il progetto VolontariaMENTE capii che era un’opportunità da cogliere al volo, senza pensarci troppo su. Il campo estivo E!State Liberi mi colpì subito: una settimana a stretto contatto con i luoghi segnati dalla mafia, per diffondere una cultura di antimafia. Nello specifico l’esperienza del campo era suddivisa in tre momenti di attività: il lavoro agricolo, la formazione sui temi della legalità e lo scambio interculturale con il territorio.
Nonostante le mie certezze, il giorno in cui presi l’aereo in me si celava quella sensazione di inizio di una nuova avventura che, metaforicamente, si identifica con un foglio completamente bianco, su cui non sai ancora cosa verrà scritto. Ero pronto a vivere qualunque cosa mi aspettava all’arrivo e già non vedevo l’ora di raccontare ciò che avrei vissuto alla mia famiglia, alla mia ragazza e ai miei amici. Nel viaggio verso il casale di San Giuseppe Jato trovai conforto negli altri volontari che come me erano più o meno consapevoli di ciò che ci aspettava quella settimana. Il primo incontro pomeridiano ci aprì gli occhi. I ragazzi di Libera ci raccontarono fatti che la maggior parte di noi aveva sentito solo al telegiornale o letto sui libri, ma in quel momento ne stavamo prendendo consapevolezza, eravamo lì. Fu così che d’un tratto mi trovai con 12 amici in più, Maria, Vittoria, Walter, Alessio, Laura, Anna Rita, Giulio, Cristiana, Martina, Lucrezia, Giulia e Federica. Si creò subito un perfetto equilibrio nel gruppo e quella sera andai a dormire sereno.
La mattina era sicuramente uno dei momenti più difficili. Le sveglie iniziavano a suonare alle 4.00 e d’un tratto la cucina si riempiva di 13 persone più o meno consapevoli di dove si trovavano, pronte ad andare a lavorare nei campi. Dedicarsi alle attività agricole mi entusiasmava per via dell’amore per la terra e la natura, e tra tutti il primo giorno di lavoro fu il più particolare. Quella mattina lavorammo in squadra come in una catena di montaggio per creare un parafuoco intorno ad un frutteto. Nonostante fossimo 13 perfetti sconosciuti, per lo più novellini fino al giorno prima, ci organizzammo con zappe, forbicioni e rastrelli come una squadra esperta sotto la guida del mitico Mimmo. Finito il lavoro ci fu chiaro come la stanchezza fisica veniva più che compensata dalla soddisfazione nel vedere il segno della propria opera, e l’animo era più sereno.
Nel pomeriggio si svolgevano le attività di formazione e ogni giorno conobbi una diversa faccia dell’antimafia. La testimonianza dei sopravvissuti alla strage di Portella della Ginestra, la visita all’azienda Calcestruzzi Ericine, l’incontro con l’associazione Addio Pizzo, l’approfondimento sul Consorzio Libera Terra e la manifestazione in ricordo della strage di via D’Amelio. Ciò che ho imparato da questi incontri è che l’unico modo per sconfiggere la mafia è far sentire viva e propositiva la presenza dello Stato nelle comunità, troppo spesso abbandonate a se stesse. La mafia concede per favore, quello che lo Stato dovrebbe dare per diritto. Perciò bisogna dare voce a casi come quello della Calcestruzzi Ericine, in cui lo Stato ha vinto sulla mafia.
Di ritorno da questo viaggio continuerò a praticare la legalità nei gesti quotidiani e farò conoscere le rigogliose realtà dell’antimafia. Mi piace riportare qui una frase detta da un volontario siciliano: “Le persone pensano di venire qui a cambiare questa terra, al ritorno capiscono che è questa terra che cambia le persone”. Grazie.
Lavoro sociale, sveglia prima dell’alba, lotta per il territorio, per far rispettare un diritto e per la serenità: questo ho imparato
Di Dario Ercolani