Quando nel febbraio 2013 il risultato elettorale consegnò al Movimento 5 Stelle il 25% dei seggi in Parlamento, quasi tutti gli italiani hanno, se non esultato, almeno avuto una piccola speranza: che fra quegli scranni occupati per anni da personaggi ritenuti indegni si fossero finalmente seduti dei ragazzi, degli uomini, dei cittadini come loro. A contribuire maggiormente a questa fiducia generalizzata sono stati certamente molti fattori: il totale discredito in cui versavano, e versano ancora, i partiti, un governo Monti particolarmente duro e fiscalmente vessatorio, la grande arte di Grillo, cioè la capacità di non dire molto ma dirlo bene, la rabbia della popolazione e anche un po’ il carattere degli italiani, sempre pronti ad affidarsi all’uomo della Provvidenza con la bacchetta magica.
Purtroppo però le simpatie degli italiani per quei ragazzi “puliti” si sono ben presto scontrate con la realtà dei fatti: una gestione pessima delle trattative su Governo e Presidente della Repubblica, mesi passati a litigare sugli scontrini, opposizione sterile contro ogni provvedimento, manie giacobine di purezza. Questi comportamenti hanno presto fatto capire a molti che, forse, quei ragazzi così puliti non erano i più indicati a svolgere un ruolo che, come diceva anche Montanelli, “non è solo un mestiere, ma è anche un mestiere”. Così il M5S ha passato un periodo di crisi di consensi che ha raggiunto il suo apice con le elezioni europee, quelle del #vinciamonoi, che hanno fatto presagire un imminente crollo. Eppure, con Mafia Capitale e la vicenda Boschi, il Pd e il centrodestra hanno prontamente risvegliato la coscienza di molti elettori che nei sondaggi si sono nuovamente riversati sui pentastellati.
Oggi però una nuova vicenda li sta mettendo di nuovo sulla piazza della pubblica accusa: la legge sulle unioni civili, approvata il 25 febbraio dal Senato della Repubblica. In particolar modo il dibattito sul voto secondo coscienza che Grillo, nonostante i parlamentari neghino la sua leadership politica, ha concesso ai suoi. Purtroppo però il dibattito si è come al solito aggrappato all’albero sbagliato: la libertà di voto su un tema etico come quello delle adozioni gay. Non è solo il M5S a poter votare secondo libertà di coscienza ma, fatto paradossale, anche il Pd, partito promotore di questa legge; le accuse anche pretestuose di bigottismo, da sempre lanciate dai pentastellati contro i Dem su questi temi, stridono con la rinnovata posizione di Grillo e dei suoi. Tuttavia ciò che davvero dovrebbe far riflettere non sono questi piccoli e insignificanti episodi, né il fatto che un raggruppamento politico lasci libertà di coscienza su un tema in effetti molto delicato e nemmeno la contrarietà al “canguro”; a far davvero riflettere è il fatto che il M5S, dopo soli tre anni in Parlamento è già diventato un partito.
Dopo il Family Day tutte le forze politiche sono rimaste interdette dalle protese contro il ddl Cirinnà, e tutti si sono armati per cercare in qualche modo di non rompere con un certo elettorato, cattolico e non solo, che non vuole una legge per il riconoscimento delle coppie omosessuali; e il M5S ha fatto esattamente la stessa cosa del Pd di Renzi. Si è deciso che sul tema stepchild adoption (o assosiescion per dirla con Scilipoti), questione calda per questo elettorato, ci sarà libertà di coscienza, e tanto basta per mostrare un M5S che legittimamente ha scelto di essere un partito e non più un movimento, di seguire le stesse tattiche elettorali degne d’altri tempi. Quella rivoluzione dal basso tanto promessa e agognata da elettori ed eletti pentastellati si è presto trasformata in una progressiva cattura dall’alto.
Questa rinnovata modalità di azione politica da parte del M5S potrebbe da un lato danneggiarli e renderli parte di quella Casta di cui si sono sempre fatti alfieri dell’opposizione, anche se spesso la popolazione non sembra averne percezione come nel caso della Taverna contestata da alcuni manifestanti e accusata di essere un “politico”; ma potrebbe anche inserirli in una dinamica di alleanza con la maggioranza. Certamente con Beppe Grillo ritiratosi dalla scena e ormai tornato alla sua carriera, quella vera, di comico, la classe dirigente grillina dovrebbe prendere in mano il partito (ops, il movimento) e decidere cosa i pentastellati vogliono fare da grandi: se rappresentare una certa parte del paese, euroscettica, antisistema, vagamente nazionalista, ma comunque degna di rispetto o rimanere un ibrido: un movimento populista che si appella alla pancia dell’elettorato. Deve decidere, insomma, se cominciare ad assumersi delle responsabilità e cercare davvero di essere qualcosa di rappresentativo o se restare un gruppo isolato di complottisti, dietrologi e cantastorie in pieno stile italiano.
A cura di Michelangelo Borri