Telecomunicazioni e media sono in gran fermento. Anche in Italia. In un Paese stravolto dalla spending review, preoccupato dalla crisi greca e politicamente sempre sul filo del rasoio, si sta giocando un’importante partita per lo sviluppo tecnologico del Paese, la sua strategia industriale e i suoi fini difensivi. Qualche indizio di ciò che sta velocemente accedendo è contenuto nel recente saggio “Vincent Bolloré. Il nuovo re dei media europei della giornalista Fiorina Capozzi, financial reporter de ilfattoquotidiano.it ” (edito da GoWare in collaborazione con Key4biz in versione ebook e print on demand anche nelle librerie Feltrinelli e Mondadori). Con lei la redazione di Globe Trotter ha avuto il piacere di condurre un seminario sul giornalismo lo scorso marzo e ora vuole approfondire il contenuto di un saggio che apre interrogativi non solo sul futuro digitale del Paese, ma anche sul ruolo dei media in un contesto sempre più globale e con editori talvolta “invadenti”. Nel saggio Capozzi traccia infatti il profilo del finanziere bretone a capo del colosso media francese Vivendi, recentemente diventato il principale azionista di Telecom Italia. Ne viene fuori un ritratto con luci ed ombre di un finanziere e un industriale dalla tempra dura. A soli 23 anni, Bolloré riuscì ad impossessarsi della società di famiglia; nel corso degli anni, grazie alla profonda conoscenza degli strumenti della finanza, accumulò liquidità da investire in progetti innovativi, come ad esempio Bluecar, ossia le macchine elettriche del servizio Autolib carsharing di Parigi. Ambizioso, visionario e camaleontico. Sicuramente ciò che a Bolloré non manca è una chiara visione del futuro. Per raggiungere i propri obiettivi, secondo Fiorina, Bolloré attua sempre la stessa tecnica, mira a sedere nel Cda delle aziende di suo interesse, di cui piega, pian piano, agilmente la strategia in proprio favore.
Dunque Fiorina, ci spieghi quali sono effettivamente gli interessi di Bolloré in Italia? Leggo che al momento è il principale interlocutore del Presidente del Consiglio Matteo Renzi in materia di bandaultralarga.
Vincent Bolloré ha iniziato a investire in Italia più di un decennio fa. Invitato dal banchiere francese, Antoine Bernheim, è entrato nel capitale di Mediobanca, il salotto buono della finanza italiana. Da quella che lui stesso definisce una “finestra privilegiata sul capitalismo italiano”, Bolloré ha osservato le partite industriali e finanziarie più importanti d’Italia, Paese che considera il naturale sbocco per un’impresa francese sia per contiguità territoriale che culturale. Quando agli inizi del 2014 si è aperta la partita per ridefinire assetti azionari e strategia di Telecom, Bolloré era già al posto giusto nel momento giusto. E’ già presidente del gruppo pubblicitario francese Havas e socio dell’azienda media d’Oltralpe Vivendi. Ma soprattutto ha già in mente un piano di internazionalizzazione del suo polo media che, oltre ad Havas e Vivendi, è anche un importante player della free press francese. Da questa estate, in seguito ad un’operazione di cessione realizzata in Brasile, Vivendi e Bolloré sono diventati il primo socio di Telecom Italia. E’ la prima volta nella storia di questa strategica azienda, privatizzata da Prodi negli anni ’90 assieme alla sua rete, non c’è un azionariato di riferimento italiano. Questa metamorfosi negli assetti azionari di Telecom avviene però nel momento in cui il governo Renzi sta tentando di premere l’acceleratore sugli investimenti nella fibra per innovare e far crescere il Paese. Naturale quindi che Bolloré sia diventato un diretto interlocutore dell’esecutivo nella partita per la banda ultralarga italiana.
Quindi quali sono i piani di Vincent Bolloré?
Bolloré è un industriale e un finanziere che sa far funzionare le aziende, ristrutturarle, ma anche, all’occasione, semplicemente speculare sul mercato per ricavare introiti necessari ai suoi nuovi progetti. Al momento sta lavorando al rafforzamento del suo polo media in Europa. Con l’acquisizione del pacchetto Telecom giocherà un ruolo importante nel consolidamento delle telecomunicazioni ed è quindi un interlocutore essenziale anche per Matteo Renzi che vorrebbe finalmente far partire il progetto banda ultralarga per l’Italia. Il governo sa bene che è una partita fondamentale per il Paese, ma è costretto a scontrarsi con alcune resistenze legate a doppio filo con l’enorme debito di Telecom (29 miliardi, ndr) e con il sistema sindacale e sociale che ruota attorno ad un’azienda con oltre 60mila dipendenti.
Negli scorsi mesi ha seguito e raccontato nei suoi articoli gli intrecci tra Metroweb, la Cassa Depositi e Prestiti, Telecom, palazzo Chigi e le altre telco. Secondo lei, a questo punto, c’è un legame tra la fine dell’accordo che vedeva la società milanese Metroweb come principale player per la costruzione dell’infrastruttura in fibra ottica nel Bel Paese e l’entrata in scena di Bolloré?
Più che un legame parlerei di coincidenze di interessi. E’ evidente che ad un investitore che ha puntato su Telecom non possa altro che far piacere l’idea di conservare una posizione dominante nell’infrastruttura di rete che oggi è in rame e domani sarà in fibra. Il network è una gallina dalle uova d’oro, un’autostrada telematica cui tutti coloro che vogliono passare, devono necessariamente pagare un pedaggio. Non a caso consulente di Renzi, Andrea Guerra, uscito da quella brillante azienda che è Luxottica per contrasti con uno dei più grandi imprenditori Leonardo Del Vecchio, ha in più occasioni spiegato che un eventuale investimento della Cassa Depositi e Prestiti nel capitale di Telecom non deve essere considerato un tabù. Il progetto in cui spera Bolloré, ma anche la Cdp francese che pure ha investito in Telecom, è evidentemente più redditizio rispetto al progetto di sviluppo della banda ultralarga attraverso un condominio di imprese che fa capo a Metroweb, società controllata da Cdp attraverso il fondo strategico e da F2i. Lo testimoniano gli scontri fra l’ex presidente di Cdp, Franco Bassanini, e la stessa Telecom che più volte è stata invitata dal governo, senza successo, ad entrare nel progetto “condominio” finalizzato a creare un network con una forte componente pubblica senza il dominio di un solo operatore.
Ritiene che l’ingresso in scena di Bolloré possa essere la chiave di volta per la costruzione di un futuro servizio paneuropeo nel settore delle telecomunicazioni?
Bruxelles vorrebbe la creazione di una infrastruttura europea attraverso gli ex monopolisti nazionali che pure hanno tutti i loro problemi finanziari. Da tempo del resto si parla di un progetto che veda convergere Orange, Deutsche Telekom e Telecom Italia nell’ambito di un’operazione dall’elevato contenuto strategico e difensivo per l’Unione. In questo senario, Bolloré può certamente essere un uomo chiave.
Io credo vi sia una generale miopia, una scarsa attenzione, riguardo la futura convergenza tra l’entertainment industry, la tv ed il settore delle telecomunicazioni, dato che tale fusione è già una realtà consolidata oltreoceano, a cui mirano anche alcune big ICT quali Google. Nella penisola, già in passato, per proteggere interessi politici, si sono commessi errori strategici rovinosi in tali ambiti, di cui paghiamo ancora oggi le conseguenze: per proteggere “Mamma Rai” il mancato via libera alla tv via cavo in Italia ha comportato l’assenza di reti internet alternative al tradizionale doppino telefonico in rame. In tale ottica, in che modo dunque prevedi agirà Bolloré, anche in relazione ad altri giocatori in campo, quali Mediaset?
Bolloré agirà nel suo interesse e in funzione di come si muoverà lo Stato italiano sulla banda ultralarga. Al momento registro che il dl comunicazioni è bloccato e che Renzi prende ancora tempo. Intanto Netflix ha firmato un accordo con Telecom, mentre Mediaset e Rai osservano da lontano una partita che li vede player isolati in un più ampio contesto europeo. E’ chiaro che il duopolio Mediaset e Rai dovrà evolversi con alleanze e modelli alternativi. Tuttavia finché non ci sarà la banda ultralarga la loro metamorfosi forzata slitta nel tempo. Il rallentamento sui piani di sviluppo della fibra da parte del governo giocano infatti a favore non solo di Telecom, ma anche di Rai e di Mediaset. Senza banda ultralarga, le tre aziende mantengono infatti posizioni di forza sul mercato italiano.
Come immagina il mondo delle telecomunicazioni tra 10 anni, a livello nazionale, Europeo e globale? Riuscirà l’Italia a rispettare i parametri e gli obiettivi dell’Agenda Digitale Europea? Riusciremo a “non perdere questo treno” verso lo sviluppo delle reti di nuova generazione (NGA), verso l’Internet of Things e la “Società Iperconnessa”?
Considerato il quadro italiano attuale, credo che il Paese si muoverà lentamente lungo l’inevitabile percorso dell’innovazione in fibra. Fra gli osservatori del settore, c’è persino chi ha contestato gli obiettivi europei e quelli del governo Renzi perché troppo poco ambiziosi rispetto a quello che accade fuori dall’Europa dove Internet, le web company, i produttori di contenti e le compagnie telefoniche sperimentano, spesso con successo, modelli verticalmente integrati. In questo scenario, i target di Bruxelles sono una meta, ma allo stesso tempo sono anche il punto di partenza di una nuova società iperconessa che racchiude molti vantaggi per cittadini e imprese. L’innovazione va veloce ed è quindi difficile dire cosa sarà il mondo delle telecom e di Internet fra dieci anni, quasi un’era glaciale per il comparto. Ma di certo le telecomunicazioni e l’intero web saranno al centro dei pensieri degli Stati in un’ottica di difesa degli interessi nazionali messi sempre più in discussione da una situazione geopolitica inquietante. Il caso dell’ex agente Cia Edward Snoden ha raccontato al mondo come già da tempo gli Stati Uniti utilizzino il web e le telecomunicazioni nell’ottica di un controllo di massa finalizzato, almeno in teoria, a difendere alla stabilità della nazione. Non c’era del resto da attendersi nulla di diverso in un mondo il cui si scontrano gli interessi economici russi, cinesi, indiani e statunitensi. Facile immaginare che questa tendenza al “controllo” possa accentuarsi in futuro soprattutto in Paesi con una posizione geografica strategica come l’Italia. L’esigenza di difendere gli interessi nazionali sarà quindi la molla più rilevante dello sviluppo del mondo iperconesso che naturalmente avrà vantaggi consistenti per imprese e dei cittadini grazie a trasparenza e velocità. Ma che, senza regole precise, rischia di violare costantemente la privacy di tutti. Credo che la ricerca di un giusto equilibrio fra i benefici del mondo connesso e il rispetto della sfera privata sia la più importante sfida di Internet nei prossimi anni.