L’abbiamo sottovalutato più o meno tutti. Persino chi, da primo, si era reso conto della gravità della nuova malattia, mai avrebbe pensato che le conseguenze nel mondo sarebbero state così pesanti. Le società hanno visto altre epidemie nel corso dei secoli.
Quella di oggi, però, è una situazione senza precedenti.
Le attività produttive sono ferme, gli spostamenti ingiustificati vietati ed è evidente che questo stallo si protrarrà a lungo.
Quando l’Italia ha chiuso i suoi confini ai voli diretti provenienti dalla Cina si era pensato che questa misura sarebbe bastato a contenere l’epidemia.
Ma come ben sappiamo così non è stato. Gli attacchi sono arrivati da ogni parte alle decisioni del governo, specie da chi, nel giro di poche settimane, ha cambiato radicalmente la propria opinione. Si tratta di Matteo Salvini, che, con i video postati sui social, incoraggiava dapprima le imprese e i cittadini ad “aprire tutto”, e poi, dopo pochi giorni, “a chiudere tutto”.
Ma, una volta finito tutto, come cambierà il mondo rimasto pressoché immutato dalla fine della guerra fredda ad oggi?
Per rispondere a questa domanda occorre considerare diversi fattori.
Prima di tutto è evidente che Giuseppe Conte abbia guadagnato tantissima popolarità tra i suoi concittadini. Apprezzano gli sforzi di una persona che si trova a fronteggiare una situazione per cui nessun politico di oggi, né tantomeno un tecnico, sarebbe preparato davvero. O anche perché trovano che una persona che parla alla nazione quasi tutte le sere con aria calma e gergo comune sia in qualche modo rassicurante. Fatto sta che l’Italia, che ad inizio marzo quasi si preparava ad una nuova crisi di governo causata dal disaccordo sulla riforma della prescrizione, si trova talmente stremata dall’epidemia che le opinioni contrastanti di chi urla dai social hanno molta meno risonanza rispetto a prima.
Tra chi scappa dal contagio e chi mette in giro la notizia che le ONG non stiano aiutando gli ospedali del nord Italia (smentita da Emergency assieme all’elenco degli aiuti che stanno arrivando ai medici delle zone focolaio), rimane la consapevolezza che forse questo non sia il momento adatto per polemizzare.
Sarà dunque questa la fine degli schieramenti politici che rimanevano più o meno stabili ad inizio marzo? Sarà la fine del populismo?
Bisogna considerare che questa pandemia stia avendo effetti gravissimi sull’economia mondiale, comunitaria e nazionale. Al di là della possibilità che qualcuno possa approfittare di questa situazione per arrivare ad un potere pressoché assoluto, c’è anche la possibilità che, presi dal senso di coesione e solidarietà, noi stessi elettori riusciamo a dare una svolta importante al Paese in cui viviamo.
Rimane anche la questione di come la crisi negli altri Paesi ci riguarderà.
Mentre la Cina va verso la ripresa, con sempre meno contagi e sempre più guariti, l’economia del gigante asiatico inizia a leccarsi le ferite in attesa della ripresa. Adesso sono loro ad aiutare gli altri Paesi maggiormente colpiti, tramite l’invio di medici e materiale sanitario, tra cui le introvabili e ambitissime mascherine. La Cina, molto probabilmente il primo Paese a riprendersi, potrebbe diventare il Paese leader.
Bisogna poi chiedersi che impatto avrà sull’Italia quell’idea che si è diffusa con tanto di vignette, ossia che la Cina ci stia aiutando più dell’Unione Europea. Questa domanda diventa particolarmente preoccupante all’indomani dell’uscita della Gran Bretagna dal sistema comunitario e della crisi migratoria al confine con la Turchia, problemi non semplici per l’Unione.
Nel frattempo, gli Stati Uniti si preparano al momento più difficile. Mentre si ferma New York, la città che fino ad ora non ha dormito nemmeno dopo la tragedia alle Torri Gemelle nel 2001, sono a rischio le primarie in vista delle elezioni in autunno.
In un Paese che non ha mai subito nemmeno gli attacchi dei conflitti mondiali del secolo scorso, il contagio potrebbe avere conseguenze devastanti, e non solo per il morale dei cittadini. La vendita delle armi da fuoco cresciuta esponenzialmente in questi ultimi giorni di corsa alle provviste è già un indicatore difficile da ignorare.
Gli USA stanno diventando un luogo poco sicuro?
Senza parlare poi del momento politico in cui gli americani si trovano, esposti alle campagne elettorali senza esclusione di colpi dei tre maggiori candidati rimasti: Joe Biden, Bernie Sanders e Donald Trump.
Trump, Presidente in carica e candidato molto vicino ad essere rieletto per un secondo mandato, rivela tutta la sua inconsistenza dichiarando, due settimane prima di effettivamente prendere delle misure di contenimento, che il virus sarebbe andato via con la bella stagione.
Ma nel caso in cui la situazione peggiori negli USA, arriveranno gli aiuti umanitari dalla Cina, contro la quale Trump aveva intrapreso una dura politica di dazi?
C’è poi la “rivoluzionaria” proposta di Bernie Sanders, ossia lo sblocco del sistema sanitario privato verso la garanzia universale del diritto alla salute, che sembra quasi una proposta ironica, considerato che ormai gli Stati Uniti sono il terzo Paese al mondo per numero di contagi. Sebbene l’idea di avere un sistema sanitario privato sia fin troppo radicato in America, la paura di essere troppo poveri per essere curati potrebbe portare Sanders a guadagnare punti contro il rivale alle primarie Democratiche, l’ex vice-Presidente dell’amministrazione Obama Joe Biden, proprio mentre Biden sembra imbattibile. Sta di fatto che nei prossimi mesi quasi sicuramente il lungo processo che porta alle elezioni generali del prossimo autunno si bloccherà temporaneamente.
In tutta questa incertezza si aggiunge un altro punto interessante da considerare. Mentre le emissioni di CO2 rallentano nei Paesi fermi, le anatre tornano a fare il bagno nella Barcaccia di Piazza di Spagna, i pesci tornano a nuotare nei canali di Venezia e nei parchi di Milano compaiono le lepri. È bastata poco più di una settimana perché la natura si riprendesse un po’ dello spazio che l’uomo non occupa più. Questo sensazionale cambiamento potrebbe spingere le potenze mondiali a non sottovalutare più i problemi ambientali. Oppure, d’altro canto, la ripresa potrebbe portare a uno sfrenato aumento della produzione a costo di vanificare i risultati ottenuti in questi giorni.
Non possiamo sapere da ora come sarà il mondo di domani.
Abbiamo la vaga idea che la vita come l’abbiamo sempre vissuta resterà lontana ancora per un po’, ma questo è un ottimo momento per fermarsi e riflettere non su cosa dovrebbero o non dovrebbero fare i governi per fronteggiare questa crisi, ma piuttosto su cosa possiamo fare noi.
Il Giappone, secondo Paese al mondo per aspettativa di vita, si trova a contare un numero molto più contenuto di vittime rispetto all’Italia, che pure è un Paese anziano, probabilmente per via di una propensione culturale all’obbedienza alle leggi.
Se ci vengono imposte delle restrizioni così pesanti, se il numero di denuncie per aver violato i decreti ministeriali è così alto, allora può darsi che siamo molto lontani dall’essere dei cittadini virtuosi. Fermiamocie chiediamoci: “Cosa voglio essere? Voglio tornare alla vita normale presto e con molta più carica, positività e rispetto di chi mi sta attorno?”.
Se la risposta è sì, allora tutti i dubbi, le analisi politiche di poco fa, le domande su chi comanderà il mondo, perdono totalmente di importanza. Di fronte alla tragedia di intere regioni sconvolte dall’epidemia, di famiglie che non hanno potuto dire addio ai propri cari, di ragazzi che pure non immuni al contagio si trovano da più di dieci giorni attaccati a un respiratore, non possiamo fare altro che stare in silenzio, rimanere calmi e stare a casa.
Articolo a cura di Raffaella De Meo