#volontariaMENTE: E!STATE LIBERI, la più bella settimana delle mie vacanze.
Da un paio d’anni la nostra università ha dato vita ad un progetto il cui nome, “volontariamente” , lascia facilmente intuire di cosa si tratti e quale sia la sua essenza. E’ appunto un progetto di volontariato e in quanto tale ha un fine nobile, ma oltre a tale fine, intrinseco alle attività di questo genere, ha anche un fine altamente formativo; oltre che personalmente, oserei dire, professionalmente. Questo aspetto è stato più volte sottolineato dal professor Pessi alla presentazione del progetto, il professore ha specificato l’importanza dell’elemento “didatticamente formativo” per noi studenti; elemento, che si spera, vada ad accrescere o a creare quel famoso “ valore aggiunto” che tanto si ricerca e tanto ci viene richiesto.
Mi vengono in mente le attività di Made in Carcere; della comunità di Sant Egidio; dei campi di Estate Liberi, a cui ho avuto la fortuna e il piacere di partecipare e su cui, quindi, principalmente scriverò.
I campi di E!State Liberi sono organizzati in maniera tale da far lavorare i volontari sui beni confiscati ai vari boss mafiosi, beni che sono gestiti dalle varie cooperative o associazioni a cui sono stati assegnati, in applicazione della legge 109/96. Oltre all’aspetto lavorativo, l’organizzazione del campo prevede anche dei momenti dedicati all’approfondimento sulla conoscenza del fenomeno mafioso, incontrando familiari di vittime, attivisti di diverse associazioni antimafia e tante altre personalità che quotidianamente fanno sentire la loro presenza sul territorio, dimostrando come un altro modo di lavorare, di pensare, di vivere, sia possibile e sia più giusto e più bello.
Io ho partecipato al campo organizzato da Libera Terra nel territorio dell’Alto Belice Corleonese, collaborando con la cooperativa Pio La Torre Libera Terra, abbiamo lavorato sui terreni siti nel comune di San Cipirello e confiscati a vari boss della zona, in particolare Agrigento e Brusca. La nostra giornata tipo iniziava di buon ora, sveglia alle ore 5.00; ore 5.30 appuntamento con Domenico, il contadino socio della cooperativa Pio La Torre Libera Terra con una dedizione per il lavoro che raramente ho riscontrato in altri, che ci accompagnava e ci guidava nel lavoro nei campi; ore 6.00 arriviamo sui terreni e iniziamo la giornata lavorativa (lavorando prevalentemente su dei vigneti) ; ore 13.00 fine della giornata lavorativa, si ritorna a casa: una villetta confiscata a Vito Brusca, dove abbiamo alloggiato durante tutto il periodo del campo. Il pomeriggio era dedicato a degli incontri con personalità che, per scelta lavorativa o per scelta di vita, quotidianamente svolgono attività che rientrano nel campo della valorizzazione dei beni confiscati alla mafia o nel campo dell’educazione alla legalità e del contrasto ai fenomeni mafiosi. Dire che ognuno di questi incontri mi ha lasciato qualcosa, è riduttivo. Sono stati incontri intensi, veri, emozionanti, proficui per la mia persona e per le mie conoscenze sul tema, che hanno suscitato in me molte domande e molte riflessioni. Non posso raccontarli tutti, ho scelto di raccontare, seppur brevemente, soltanto due di questi, che penso possano descrivere due modi quotidiani di fare antimafia (ma a me piace pensarli come due modi di vivere): uno più strettamente lavorativo e un altro più personale, lo definirei più “umano/spirituale”. Voglio però quantomeno dirvi chi sono le personalità che abbiamo incontrato, sperando di suscitare in voi la curiosità per le loro irripetibili storie: Mario Nicosia e Serafino Petta, i due reduci della strage di Portella della Ginestra ( 1° maggio 1947), tra i primi a subire soprusi, prepotenze e a vedersi negati diritti e libertà; l’incontro con i lavoratori della Calcestruzzi Ericina (Trapani) il primo esempio di confisca e di gestione di un bene aziendale da parte di una cooperativa costituita dagli stessi lavoratori che prima della confisca lavoravano per Vincenzo Virga , prestanome del famoso Matteo Messina Denaro; Valentina Fiore, amministratore delegato del Consorzio Libera Terra Mediterraneo; esponenti di Addio Pizzo, giovane associazione antimafia che svolge attività sostenendo i commercianti di Palermo nella lotta al fenomeno del “pizzo”; i fantastici ragazzi formatori e formatrici di Libera.
Ho scelto di raccontare l’incontro con Valentina Fiore e il pomeriggio trascorso con i ragazzi di LiberEssenze al Giardino della Memoria; due incontri che, in maniera diversa, sono stati e continuano ad essere spunto di riflessione.
Quello con Valentina Fiore è stato uno dei primi incontri, lei ci ha parlato dell’attività d’impresa svolta dal Consorzio Libera Terra Mediterraneo. Come ha più volte sottolineato si tratta di un’impresa sociale, abbiamo discusso sulla normativa che regola le imprese che svolgono attività con questo specifico fine, ci ha più volte chiesto se secondo noi questi due mondi “attività di impresa” e “sociale” potessero convivere, se non ci fosse una contraddizione intrinseca tra i due. Mi ha colpito il suo entusiasmo nel rispondere a questa stessa domanda che ci aveva posto, come è stata in grado di farci percepire che le sue parole corrispondessero esattamente a ciò che pensasse e come dalla sua testimonianza, dai racconti del suo lavoro quotidiano è stata in grado di convincerci, o meglio, di far maturare in noi la consapevolezza che un tale tipo di attività sia possibile, che non sempre quando si parla di impresa, di affari, di ricchezza, debba esserci uno sfondo di disonestà, corruzione o favoritismo; che un’attività svolta nel rispetto delle persone, dell’ambiente, del lavoro, nel senso più alto del termine, può essere proficua. Ci ha parlato dei loro prodotti ed in particolare del vino, di cui seguono tutta la fase produttiva: dalla raccolta dell’uva all’imbottigliamento. Il vino prodotto dal Consorzio Libera Terra Mediterraneo, è molto apprezzato all’estero, “questo” -ha detto lei- “ è tra le soddisfazioni più grandi, significa che lavoriamo bene, significa che il nostro prodotto piace, che non viene comprato per il tipo di attività etica che c’è alle spalle, all’estero è raro che leggano la storia delle terre da cui quel vino nasce; lo comprano perché è un vino di qualità, perché è buono”.
L’altro incontro che ho scelto di raccontare, mi lasciato un qualcosa da un punto di vista più personale, più umano. Erano circa le 16.00 quando siamo partiti da casa per raggiungere il “Giardino della Memoria” in cui ha avuto luogo uno degli omicidi più spietati di cosa nostra, dove è stato ucciso e poi sciolto nell’acido il piccolo Giuseppe Di Matteo. Lungo il tragitto, Chiara (formatrice di Libera e vice presidente di LiberEssenze di San Giuseppe Jato) ci ha chiesto di fare attenzione alla strada che ci portava alla tenuta, ho capito solo dopo l’importanza che aveva. La prima cosa che mi è venuta in mente quando siamo arrivati, ripensando al percorso che ci ha portati fin lì, è stato che quello fosse un luogo sperduto, “dimenticato da Dio”. Si tratta di un plesso immerso tra le campagne di San Giuseppe Jato, oltre che in un silenzio assordante, fastidioso, imbarazzante; mi sono più volte chiesta perché avessi provato imbarazzo e un senso di inadeguatezza durante tutto quel pomeriggio trascorso lì, credo che quei sentimenti fossero dovuti alla consapevolezza che quel luogo è stato in grado di farmi maturare: mi trovavo in una campagna a pochi km dal paese in cui ho vissuto per 19 anni e ne ignoravo l’esistenza. Quel luogo mi ha ricordato che ho delle responsabilità verso la mia terra, verso degli uomini che per il suo bene hanno sacrificato la loro vita; mi ha ricordato che il mio impegno può e deve essere maggiore e che non possiamo rassegnarci a qualcosa che appare più forte e grande di noi. Era un casolare di proprietà di Giovanni Brusca, dopo la sua condanna gli è stato confiscato ed è stato assegnato al comune di San Giuseppe Jato nel quale Libera sviluppa una serie di attività formative e di volontariato affinché dalla memoria di ciò che accadde al piccolo Di Matteo si possa maturare la consapevolezza che ognuno deve fare la sua parte per contrastare le mafie. Arrivando, Chiara, Francesco, Paolo e Marta (soci della Associazione LiberEssenze) ci hanno raccontato la storia di quel luogo, dall’edificazione della tenuta al momento dell’uccisione del piccolo Giuseppe, abbiamo letto insieme le parole raccapriccianti dell’assassino del bambino che descrivono dettagliatamente l’omicidio, parole da cui traspare tutta la miseria di cui può essere capace un uomo.
Dopo questo momento, chiamiamolo descrittivo, ci siamo fermati a commemorare quel luogo, quell’evento, quel bambino. Credo sia stata la prima volta in cui sono riuscita a commemorare qualcuno, in cui ho capito cosa significhi compiere questa azione: in quei momenti ognuno di noi ha espresso, ha condiviso, ciò che quel luogo e quei racconti gli avevano suscitato; qualcuno ha pianto; qualcuno non è riuscito ad esprimere con le parole le proprie emozioni, che però gli si leggevano in viso; qualcuno ha scavato dentro sé, ha ricercato una speranza, una fede, spesso tradita; qualcuno si è immedesimato e ha manifestato una forza e una rabbia vera. Qualcuno, Francesco e Chiara in particolare, con il proprio racconto, con i propri gesti, mi ha trasmesso un entusiasmo, una passione, un impegno che va oltre il semplice attivismo per una giusta causa, loro sono promotori di un diverso stile di vita, di un nuovo modo di pensare e di agire; loro sono l’antimafia e di conseguenza tutto ciò che c’è di vero e bello, sono la gioventù di cui troppo poco si parla, sono quelli che hanno la voglia e la passione di fare, sono quello che serve a questo paese.
E’ vero quello che si dice sul volontariato, che ti lascia più di quello che dai. Quando ho deciso di partecipare al campo di Estate Liberi, avevo delle aspettative positive, ma non mi sarei mai aspettata un’esperienza così intensa, non mi sarei aspettata di far parte di un gruppo così compatto e omogeneo, con cui ho condiviso emozioni, speranze, aspettative, progetti e con in cui in poco tempo ho istaurato legami autentici che si prospettano duraturi, non mi sarei mai aspettata che questa esperienza facesse rinascere in me la rabbia e il ripudio verso la disonestà e che intensificasse sempre di più il legame con il mio territorio.
di Laura Ferrara