É ormai trascorso un mese da quando centinaia di migranti, provenienti per la maggior parte da Paesi del corno d’Africa (Eritrea e Somalia), ma anche da Afghanistan e Turchia, venivano fermati nella zona di Ponte San Ludovico, vicino Ventimiglia, per volere delle autorità francesi, e si ritrovavano impossibilitati a raggiungere gli Stati del Nord Europa verso cui erano diretti nella speranza di unirsi a comunità di loro connazionali. I primi erano approdati lì il 9 Giugno. Poi, con il passare dei giorni, ne erano arrivati un numero sempre maggiore, la tensione si era fatta sempre più palpabile ed era scoppiato un vero e proprio caso mediatico. La motivazione della decisione del governo di Parigi di bloccare l’accesso risiedeva in parte nella sospensione temporanea, fino al 15 Giugno, degli accordi di Schengen, che garantiscono la libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione Europea, decisa in seno al G7 che si era tenuto poco tempo prima a Garmisch-Partenkirchen, in Germania; ed in parte nelle norme dell’Accordo di Chambery, un trattato bilaterale firmato da Italia e Francia nel 1997, che autorizza il “respingimento” reciproco di immigrati irregolari che provengono dal territorio dell’altro Paese. La polizia francese aveva quindi iniziato ad effettuare rigidi e sistematici controlli al confine, impedendo il passaggio ai migranti sprovvisti dei documenti che autorizzano la libera circolazione all’interno dell’Unione Europea. Le autorità francesi avevano inoltre giustificato la loro decisione parlando di un’evidente inadempienza dell’Italia all’ obbligo di identificare gli stranieri presenti irregolarmente sul territorio tramite il rilevamento delle impronte digitali, da inviare ad una banca dati europea. In realtà la situazione è molto più complessa di quanto sembri, in primo luogo poiché il regolamento dell’UE prevede l’obbligo di rilevare le impronte digitali solo ed esclusivamente “in conformità con la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo”, ossia senza l’uso della forza. Inoltre, il Trattato di Chambery, nelle modalità di applicazione portate avanti dalle autorità francesi, è entrato in conflitto con gli stessi accordi di Schengen, che vietano l’introduzione di controlli sistematici e permettono controlli alla frontiera purché avvengano a campione, e quindi in modo del tutto casuale.
Ci si sarebbe dunque aspettato, dopo il caos dei primi giorni e le proteste di molti profughi rimasti sugli scogli di Ventimiglia rifiutando gli aiuti dei residenti del luogo, della Croce Rossa e di altre organizzazioni umanitarie, uno sblocco delle frontiere, in seguito alla reintroduzione degli accordi di Schengen dal 15 Giugno. In realtà non è avvenuto niente di tutto ciò: sono pochi i migranti riusciti a passare in Francia per continuare il loro viaggio; la maggior parte di loro sono stati sgomberati dai luoghi di accampamento e portati in vari centri di accoglienza, mentre una cinquantina sono ancora lì, sugli scogli ad aspettare. Adesso che l’attenzione mediatica si è spostata altrove non si fanno più proclami e anche la tensione politica fra Italia e Francia sembra essere un lontano ricordo. Il sindaco di Ventimiglia Enrico Ioculano rivolgendosi ad un giornalista del “Corriere della Sera”: “Una volta che il caso politico è stato disinnescato, siamo ritornati nel nostro splendido isolamento. Io telefono e chiedo che cosa devo fare, nessuno mi risponde. Ma se soltanto un mese fa questa era una grande emergenza europea, le sembra giusto che adesso la debba risolvere il sindaco di Ventimiglia?”
Sembra dunque evidente la sempre più urgente necessità di rivedere le linee chiave della politica europea in materia di immigrazione, che, sulla carta, ai sensi degli articoli 79 e 80 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea(TFUE), definisce l’obbligo di implementare un approccio equilibrato sulla migrazione legale e un impegno a contrastare l’immigrazione illegale nel rispetto del principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario. Ciò che è però scritto non sembra allo stesso tempo essere pienamente rispettato nei fatti. L’Unione Europea necessita di costruire politiche di cooperazione di lungo periodo, impegnandosi nella lotta alle chiusure e agli egoismi nazionali.