Il codice penale iraniano non considera lo stupro coniugale un reato, ma se una donna non indossa il velo in pubblico rischia di essere condannata per prostituzione. Le relazioni tra donne omosessuali sono punite con la pena di morte, praticare sport è ancora bandito e il diritto al voto appare una chimera. Queste sono solo un paio delle restrizioni che scandiscono le vita delle donne in Iran, un paese tanto affascinante quanto provato dalla negazione dei diritti delle donne, dove l’emancipazione femminile è ben lontana dall’essere integralmente raggiunta.
Malgrado le continue pressioni da parte di autorità internazionali, le attenzioni che il G7 in Francia ha dedicato a questo tema e le timide trasgressioni di alcune donne oppresse, il governo iraniano si ostina a rimanere ancorato alla vecchia cultura shiita. L’estate 2019 si è, infatti, rivelata particolarmente turbolenta per l’Iran, a causa di arresti arbitrari nei confronti di donne con doppia nazionalità accusate di minare alla sicurezza del Paese.
A quest’aura cupa e opprimente che avvolge i costumi persiani, Giorgia Butera, advocacy dell’Associazione italiana Mete Onlus, risponde con una campagna volta all’affermazione dei principi civili di uguaglianza di genere, al raggiungimento di una mediazione socioculturale che possa eludere la negazione di diritti umanamente fondamentali. Sorge così Women’s freedom Iran, una campagna tricolore per la tutela della giustizia e della libertà di ogni donna iraniana.
Pare che la scintilla sia scattata a seguito di una lettera giunta al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, dice Giorgia Butera, nella quale si parlava della grave situazione in cui versava Nasrin Sotoudeh, l’avvocatessa condannata a 35 anni di carcere e 148 frustate solo per aver difeso le donne che avevano protestato per il velo obbligatorio; Mete Onlus ha già fatto richiesta affinché le venga conferita la cittadinanza onoraria. “Per noi – afferma l’advocacy – è importante svolgere azioni capillari, intervenendo in più contesti, ed è per questo che abbiamo già avviato diversi rapporti istituzionali, anche a livello internazionale”. Inoltre, l’associazione è particolarmente interessata alla partecipazione delle donne iraniane agli eventi sportivi, infatti il suo impegno sembra aver giovato: proprio in questi giorni la Federazione di Calcio Iraniana ha annunciato che le porte dell’Azadi Stadium Complex di Tehran saranno aperte anche per le donne per le pre qualificazioni del campionato di Calcio Qatar 2022.
Francesco Leone, Presidente dell’Associazione Giuristi Siciliani, il quale ricoprirà la funzione di legal advisory per la nuova campagna di supporto, ha definito questa iniziativa “un’ambiziosa lotta di civiltà a difesa della democrazia e dell’uguaglianza sociale.” Si tratta, dunque, di un sostegno marcato e imperniato sui valori del coraggio e dell’uguaglianza di genere, ma anche su una regolata disobbedienza, la stessa che ha spinto molte figure femminili iraniane a ribellarsi.
Tuttavia, la dedizione impiegata per questo lontano obiettivo è scalfita da una domanda che sorge spontanea: è concretamente possibile, per le donne iraniane, ottenere la totale emancipazione di genere? È chiaro che non si può rispondere con certezza; alcuni tentativi di liberazione degli ultimi anni hanno portato a dei risultati positivi, altri sono sfociati in violenza e repressione. Purtroppo, la meta è estremamente distante dai retaggi filo-occidentali, in quanto aggrappata alle sure coraniche, che per antonomasia dipingono la donna in una posizione subalterna rispetto a quella maschile.
È pertanto sufficiente una mobilitazione istituzionale a livello internazionale o bisognerebbe adattare la cultura del Paese a diritti universalmente riconosciuti? Sarà sicuramente il tempo a fornire la giusta risposta.
Articolo a cura di Sofia Occhipinti